Il periodo fiorentino, trascorso alla scuola di Andrea del Sarto, segnò per Giorgio Vasari l’inizio di una profonda crisi religiosa. Erano gli albori di una nuova forma di rappresentazione artistica, in cui i pittori si concentravano su temi come i dubbi spirituali, la repressione della Chiesa e le problematiche sociali del tempo. La scoperta delle Americhe metteva in discussione i capisaldi religiosi e l’autorità della Chiesa come potere temporale.
Giorgio osservava che questi artisti si ispiravano in una certa “maniera” alla pittura di Raffaello e Michelangelo: abbandonavano la prospettiva rigida e la staticità delle forme, adottando pose quasi artificiose, allungate, sospese nel movimento. Tra tutti, il più capriccioso e geniale, un po’ eccentrico ma affascinante, era per Vasari il Tintoretto.
Cresciuto nella scuola di Tiziano, con opere come La Venere di Urbino, Amor Sacro e Amor Profano, L’Assunta e Bacco e Arianna, Tintoretto esprimeva già nelle sue opere i dubbi di fede del tempo. Tuttavia, venne allontanato dal maestro per il suo precoce e capriccioso talento artistico e per l’uso innovativo di sfondi paesaggistici illuminati, oltre alla pienezza delle figure nelle sue composizioni.
Ma chi si colloca al di fuori delle correnti pittoriche dell’epoca è il sommo Caravaggio, che non può essere classificato tra i manieristi. Con le sue luci radenti e il rilievo delle figure, Caravaggio sviluppa una pittura che trasmette una pace visiva, appagante nella sua tematica. Davanti a una sua opera si potrebbe rimanere a contemplarla per ore.
Le sue opere mi trasmettono le stesse sensazioni di quelle di Burri: la materia ti circonda, ti fa immergere in un ambiente quasi embrionale… puoi manipolarla, ma è la materia stessa a darti vita, essenza, e senso di esistenza. Entriamo nelle scene di Caravaggio come entriamo nella materia delle opere di Burri: esse ci avvolgono e ci trasportano.