Una città è come il viso di una persona: bella o brutta esprime lo stato d’animo dei suoi abitanti, le attenzioni che questi le dedicano, le esperienze che qui si vivono.
Arezzo è una città contraddittoria, bella ma spesso mal vestita, ricca ma povera di spirito.
Diciamo subito di apprezzare gli sforzi dell’assessore Comanducci per proiettare la città fuori dalle mura, una operazione che non era mai stata veramente tentata precedentemente.
Quindi ben venga l’orgoglio per i 200 pullman del fine settimana, per le luci che illuminano i palazzi del centro, per tutto ciò che fa spettacolo.
Certo, che chi ci vive capisce subito, basta girare dal lunedì al venerdì che la città è in agonia, e qualcosa non torna.
Perché non è solo la chiusura in quei giorni delle casette del mercatino tirolese, ma ben più grave è la chiusura continua di esercizi commerciali che lasciano intere zone “buie” e tristi.
Basta girare dal centro all’immediata periferia per scorgere interi fabbricati polverosi e deserti, abbandonati da tempo che non trovano una nuova attività.
Da Piazza Risorgimento a via Guido Monaco, e poi via via alle stradine laterali per arrivare ai bastioni di Santo Spirito, ad attirare l’attenzione sono i cartelli affittasi o vendesi.
Naturalmente a fare cattiva mostra sono le gallerie, veri luoghi spettrali da quella di Guido Monaco, che vive grazie solo ad una sartoria cinese, a quella che collega Piazzetta Sopra i Ponti con Via Madonna del Prato, che pur privata ma di passaggio, presenta una sporcizia oltre misura.
Un po’ più fuori, sopra la PAM di via Alfieri ha chiuso anche il bar, l’ultimo avamposto di quel centro commerciale.
Resta l’ufficio delle poste che non sappiamo quanto possa resistere in quel deserto.
Si, lo sappiamo che il mercato cambia e i piccoli commercianti vengono schiacciati come mosche fastidiose.
L’apertura per il Corso di una grande catena di abbigliamento per uomo segnerà la fine di altri piccoli negozi in quella zona, di cui un nome famoso ha già programmato la chiusura a fine anno.
Una città come la nostra, che era ai primi posti per il risparmio, ha visto sfumare la sua banca di riferimento, le cui ferite non si sono ancora rimarginate.
Eppure abbiamo bisogno di strutture solide, che ridiano fiducia ad un territorio spaesato.
Arezzo può ancora contare su di una ricchezza non utilizzata: la sua storia, la sua cultura, la bellezza del suo essere.
Investiamo su questo, perché quando dopo Natale le lucine saranno spente, il calcinculo non girerà più, i tirolesi saranno ritornati a casa, la città ricadrà nel suo deserto buio in attesa che altri esercizi commerciali chiudano.
In fondo dovrebbe essere nel programma di ogni politico rendere la propria città un luogo godibile ed invidiato. Una utopia? Ma non dite sciocchezze, basta crederci. E poi, noi siamo convinti che “se vuoi essere universale, devi parlare del tuo villaggio”.
Buon Natale!
Tranquilli dopo il Natale infinito ci saranno altri festival ma accentueranno il problema del buio dei giorni feriali. A proposito complimenti, solo qui possiamo trovare un’analisi di questo tipo.
Mi dispiace ma Arezzo non è viva, grandi numeri di presenze ma si sta spengendo, ha conosciuto l’overtourism in un baleno e niente è stato fatto per correggerne le ricadute negative anzi gli ultimi provvedimenti sono ancora più restrittivi per i residenti.
C’è la ricerca della massa “mordi e fuggi” ma niente di strutturale e sempre nei soliti posti infatti tra i “malati terminali” aggiungerei il centro affari e il Pionta.
La città dello stinco ha oscurato quella di Piero.
Qui c’è da farsi “dal nome del padre”… Giunti a quello del “figlio”, e certo non oltre quello dello “spirito santo”, dalla città intra moenia dovrebbero essere spazzate via tutte le auto.
Accorgersene dopo anni che viviamo di rendite passate e che stiamo peggiorando è responsabilità degli aretini, che come il resto degli italiani , abboccano al primo che promette imiracoli . La signora, non curata e sporca appare trasandata , malconcia anche se ha al collo un bel gioiello luccicante. Arezzo.
《L’orma del mercatino più profonda di Piero 》
A piede calzato di scarpone riesce certamente meglio lasciare il segno nella mota.
la mota del Prato – ex parco monumentale –
Arezzo è legata alla sua manifattura, alla sua capacità di produrre ricchezza e distribuirla ai suoi cittadini: il turismo è un elemento integrativo che non può divenire una risposta al declino della manifattura e alla mancanza di una politica industriale; alimenta solo le rendite di pochi offrendo un numero limitato di impieghi di scarsissima qualità e mal retribuiti; pulizie, qualche cameriere, pochi cuochi e poco altro. Non credo che sia il solo futuro possibile da offrire ai vostri figli.
La città ha bisogno di riscoprire la sua vocazione produttiva, puntare su settori compatibili con il suo capitale di esperienze e conoscenze e da lì muoversi globalmente; formazione, investimenti, servizi di supporto e un progetto chiaro su cui le forze produttive della città devono convergere. Oltre alle luminarie è necessario accendere una luce sul futuro, se non vogliamo rassegnarci al declino.