La fine del dominio romano portò rovina in tutti i settori, non solo ad Arezzo. L’unico punto di riferimento rimasto furono i Vescovi, anche dopo l’invasione longobarda.
Nel 1203, a causa delle continue ruberie da parte di una plebe senza regole né ordine, fu saccheggiata la cittadella fortificata del Pionta. Lì sorgeva il maestoso Duomo e le basi di una delle prime università del mondo, antesignana dello “Studium Generale”. In seguito a questi eventi, la sede vescovile fu trasferita entro le mura cittadine.
Il Comune, nel tentativo di accrescere il proprio potere politico e finanziario, estese i suoi interessi sui territori limitrofi, precedentemente sotto la giurisdizione vescovile. È importante ricordare che la curia aretina era molto estesa, grazie all’opera di evangelizzazione compiuta secoli prima dal nostro patrono, San Donato.
Questo nuovo allargamento dell’influenza politico-finanziaria e militare portò a un aumento della popolazione e a un certo benessere. Il potere comunale era detenuto da una nobiltà dalle origini variegate, composta per lo più da proprietari terrieri, eredi di famiglie longobarde come i Lambardi e gli Albergotti, o autoctone, come gli Ubertini, i Tarlati e i Bostoli.
Tuttavia, sorsero i primi contrasti. Il podestà, guelfo della famiglia Bostoli, in conflitto con i magistrati comunali, abusò del proprio potere sottraendo al Comune il castello di Capolona — che fu affidato all’abate locale — e quello di Rondine, ceduto agli Ubertini.
Tali contrasti generarono instabilità, causando danni sia al popolo sia alle famiglie nobili. Ne seguì una vera e propria guerra civile, fatta di attentati, agguati e uccisioni, che durò dal 1215 al 1217.
Fu in questo contesto che arrivò ad Arezzo San Francesco, il quale alloggiò presso il convento del vecchio Duomo del Pionta. Secondo la leggenda, egli vide dei “diavveli” esultare sopra la città, come simbolo della sua rovina imminente. Chiamò allora a sé frate Silvestro e gli ordinò di recarsi alle porte della città per scacciare, in nome di Dio, i “diavoli” da Arezzo. Così avvenne.
Il trattato di pace tra le famiglie Bostoli, Tarlati e Ubertini fu siglato il 30 dicembre 1217, ma purtroppo durò solo due anni.
L’episodio fu immortalato da Giotto nel 1295, in una delle ventotto scene della vita di San Francesco affrescate nella Basilica Superiore di Assisi.