Era circa il 20 di giugno. Eravamo stanchi dopo dodici ore passate a rovesciare olio e pece bollente addosso a quei guelfacci senesi. In mezzo a noi c’era anche “il Merlo” — così lo chiamavano — perché, quando finivano i liquidi infuocati, si metteva tra un merlo e l’altro della muraglia e orinava sugli assalitori con un getto degno del becco giallo d’un merlo gentile.
Ma andiamo con ordine.
Giunsero in terra aretina ventimila soldati: massetani, senesi e, naturalmente, i soliti fiorentini. Avevano già saccheggiato diversi castelli nella Valdichiana e nella Val d’Ambra, e fin dal primo giorno si erano dati all’assedio della nostra città. Ma, a ogni tentativo, venivano respinti.
Quella sera eravamo al lume del grande focolare, nella locanda del Bidio, in via de’ San Vito. C’eravamo io, Buoconte, il Merlo e il cugino del Bidio — anche lui soprannominato Merlo, per lo stesso motivo poco nobile.
Fu allora che entrò Guglielmino dei Pazzi, con in mano una torcia. Era un cavaliere audace, non alto, ma piazzato come un toro: testa pelata e grossa come un ariete, spalle da ammazza-vitelli, braccia larghe quanto i paracolpi di una lancia. Occhi scuri e decisi.
«Ragazzi, ho saputo una cosa», disse, sedendosi su una panca e spegnendo la torcia nel secchio dietro la porta. «I fiorentini si stanno stufando dell’assedio. Pare vogliano ritirarsi passando per il Valdarno. Anche gli altri alleati cominciano a cedere… Dovremmo inventarci qualcosa per prenderli alle spalle!»
Buoconte, accigliato:
«Uno de’ le Poggiola d’Agazzi ha detto che quei vigliacchi hanno tagliato l’olmo che segnava i due chilometri alle mura. Spero che i nostri discendenti si vendichino di questo scempio!»
«Lo scrivo io!», intervenni. «Che qualche furfante gli renda pan per focaccia e vada a tagliare quel leccino piantato a Montaperti, che ricorda la vittoria senese!»
Il Bidio, l’oste, si alzò in piedi.
«Sentite! Le truppe senesi si accampano sempre di notte nella zona del Pontalto, e all’alba riprendono l’assedio. Se davvero molti alleati se ne vanno, anche loro si ritireranno. Bisognerebbe accerchiarli alla Candepula della Pievina. Potremmo uscire dalla porta nascosta, di notte, passare da San Giuliano e prenderli di sorpresa quando tornano verso Siena!»
«Oh, Bidio!», rise Buoconte, «sei diventato condottiero e stratega!?»
«Ma va’, io dicevo solo per darvi un consiglio… e poi ormai sono vecchio e ignorante, non riesco neppure a montare a cavallo.»
Il Bidio però, in gioventù, era stato un ottimo cavaliere. Aveva corso il Palio di Castiglion Fiorentino nella corsa lunga d’Arezzo. Portava sempre un saio lungo per nascondere le gambe martoriate dalle vene varicose, fasciate strette, e un cappello amaranto tipo papalina, che copriva i capelli grigi — ma non quegli occhi furbi, tipici dell’aretino.
Fu nella notte tra il 24 e il 25 giugno che, da Porta Buia, uscirono trecento cavalieri e duemila fanti. Si nascosero tra la Badia al Pino e Mugliano, preparando passaggi obbligati nella Candepula della Pievina.
E così, il 26 giugno del 1288, Guglielmino dei Pazzi, Buoconte da Montefeltro, il Merlo e altri 297 cavalieri annientarono i 400 senesi a cavallo e i loro 3000 fanti durante il loro rientro verso Siena.
Ed io… io sono rimasto a scrivere.