Registrò l’invenzione sul suo taccuino con il numero 1027 ma era quella su cui aveva investito di più. Non in denaro ma in energie. In frustrazioni e speranze. Era tutta una vita, a ben vedere, che lavorava solo per quell’invenzione, la numero 1027: trasformare il dolore in materia, dare forma e sostanza alle lacrime del cuore.
“Se riuscissimo a fare materia del dolore”, questo pensava, “sarebbe possibile utilizzarlo, riciclarlo, trasformarlo, come ogni materia. E diverrebbe felicità, certezza, letizia”. Niente più lacrime. Niente più angosce. Per tutti.
Ci riuscì. Il numero 1027 diceva proprio questo. E diceva anche che per far sì che il dolore scivolasse via dai corpi dell’umanità infelice in pura materia, da poter toccare, manipolare e perfino seppellire, all’occasione, serviva incanalarlo in qualcosa, qualcosa di solido. Qualcosa con una forma.
Ci pensò non poco. Di solidi ne conosceva a miliardi. Quando gli arrivò l’idea pensò che fosse ottima: “trasformerò il dolore in sassi”.
I sassi servivano. Erano strade, ponti, case. Erano arte, perfino. Potevano sommarsi e frammentarsi. Erano giganti e insieme polvere.
“I sassi sono una buona scelta, almeno finché non troverò di meglio”.
Non ci riuscì.
Il dolore era tale e tanto, adagiato sul mondo come una lugubre coperta, che cominciò a rotolare sull’umanità come una valanga. Valanga di sassi e di macigni.
Non aveva pensato alla reversibilità, l’inventore, e non riuscì a far altro se non addolorarsi per tanto dolore.
Quei sassi gli schiacciarono l’aria nei polmoni.

Ai Stories: se il dolore fosse materia
Un'invenzione rivoluzionaria prometteva di trasformare il dolore in materia, ma il suo creatore non previde le conseguenze
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