Il pozzo e le mezzine d’acqua
C’era il Vignale alto e il Vignale basso: in quello alto sei ragazzi e una cittina, in quello basso tre cittine e cinque ragazzi. Anche se vi era una guerra continua a sassate, all’imbrunire tutti andavamo verso il pozzo a prendere l’acqua per le nostre 15 famiglie.
Io con mio fratello andavamo con una piccola mezzina di rame, con il coperchio dotato di una catenella collegata al suo picciolo, e il becco d’ottone dorato a bocca di serpente da 3 litri. Quella di mio fratello era uguale, ma da 5 litri. Alcuni l’avevano simile, forse meno lavorata, mentre quelle dei contadini erano aperte, senza coperchio, con due bocche a scivolo, una da una parte e una dall’altra.
Noi scendevamo dalla ripida discesa, attraversavamo l’aia del Noferi, dove trovavamo gli altri, e giù per le scalettine di pietra. Arrivavamo dietro la casa del Buccino e, sempre lungo il piccolo viottolo contornato dai sambuchi, raggiungevamo il pozzo comunale. C’era già la coda e anche qualche coppia di adulti con il bigone e la barella, per l’acqua delle bestie.
Era il momento di raccontarci la propria giornata e programmare quella da venire. E dopo scherzi, schizzi e battutine, il ritorno con il peso dell’acqua e la salita per noi del Vignale alto. Ora di noi ne siamo rimasti solo in tre, e anche di sotto sono rimasti in quattro.
Forse l’acqua era troppo fresca, ma dissetava tanto, specialmente bere dal collo e dalla bocca del serpente dorato. Lo strano è che bevevamo poco: si era sempre in giro, nel bosco, nei campi, nelle aie, tra i pagliai, o a dar da mangiare ai polli e ai maiali. E pure al trinciaforaggio, a girare la “rota”…
Il “Flitte” e la guerra agli insetti
Erano i primi anni ’50 del secolo scorso, quando ancora non c’erano le bombolette spray per rincoglionire zanzare e mosche.
Nel cucinone scendeva dal piatto della lampadina la striscia di carta moschicida e, finché c’era spazio, anche qualche zanzara ci sbatteva contro. Ma “manco si notava” e, fino a quando il nero delle mosche non predominava sul giallo, non veniva cambiata. Alcune, dalla parte non appiccicosa, erano persino decorate con fiorellini o quadratini. Anche nelle stalle ce n’erano, per alleviare bovi e mucche.
Una striscia di scotch appiccicoso da un lato, che poi, piena di insetti attaccati, veniva bruciata nel focolare, lontano dai tre piedi, “undoe” si mettevano i tegami per cucinare, con sotto la brace.
In contemporanea arrivò anche la “macchinetta del Flitte”, simile a una pompa di bicicletta, ma molto più grossa. All’estremità del getto c’era un recipiente avvitabile alla pompa, simile a un barattolo o a un tronco di tubo, dove veniva inserito il DDT.
Prima di andare a letto, la mia nonna lo spruzzava in camera a finestre chiuse, chiudeva la porta e faceva la carneficina di ogni tipo di insetto… salvo quel ragno che, incazzato, notte tempo scelse me e il mio labbro superiore per punturarmi.
Era andato a letto con il mio nonno e la mia nonna, in mezzo a quei camicioni bianchi, ma scelse me, con addosso solo le mutande e una camiciola di cotone. Mi venne un labbro gonfio che sembrava il cofano di un’auto.
“Mi sembra d’essere diventato un’automobile!” dissi.
La mattina corsi fuori a correre: “Brum, brum, bruum!” Mi sembrò di essere più veloce e di guidare una vera auto!