“Di quante cose non ho bisogno!” diceva Diogene di Sinope, il filosofo cinico del IV secolo a.C., mentre passeggiava tra le bancarelle del mercato. Già allora, oltre duemila anni fa, questo pensatore aveva capito l’inutilità di molti desideri materiali. Diogene viveva in una botte, rifiutando i lussi e gli eccessi, perché sapeva che la felicità non dipende dal possesso ma dalla semplicità. Eppure, dopo millenni, direi già dagli anni ‘50 del dopoguerra, ci troviamo ancora più intrappolati in un sistema di consumismo sfrenato, e il prezzo che stiamo pagando è altissimo: il nostro pianeta è al limite.
Il consumismo non è solo una trappola economica che ci rende schiavi di un ciclo infinito di lavoro e spese, ma è anche la causa principale della devastazione ambientale. I mari stanno morendo, soffocati dalla plastica. Le foreste vengono abbattute per fare spazio alla produzione di massa. Ogni giorno, ci avviciniamo a un punto di non ritorno.
Nemmeno il nostro corpo è al sicuro: nanoparticelle di plastica finiscono nei pesci che mangiamo, nei vasi linfatici, e perfino nell’acqua che beviamo, che sia in bottiglia o dal rubinetto. E intanto, mentre il nostro pianeta soffre, continuiamo a consumare per mantenere in piedi un sistema che non funziona.
Un sistema che non funziona più
Il problema è evidente: se smettiamo di spendere, il sistema collassa. Ma continuare così significa distruggere la Terra e il nostro futuro. E allora? Forse la risposta è ripensare tutto, a partire da una nuova concezione del benessere e della dignità umana.
In Scandinavia, per esempio, stanno già sperimentando un reddito universale che garantisce una base economica per la mera sopravvivenza, scollegando la dignità dal lavoro. In Russia, lo Stato assegna a ogni cittadino una casa, anche modesta, per evitare che le persone rimangano per strada. Sono esempi concreti di come la società possa organizzarsi per garantire che nessuno venga lasciato indietro.
Non è un’idea nuova, occorre poi, per diritto di cronaca, anche puntualizzare che:
molte opere spesso attribuite al periodo fascista erano, in realtà, iniziative avviate dai governi precedenti o successivi. Le case popolari furono introdotte nel 1903 dal governo liberale di Luigi Luzzatti, mentre il sistema pensionistico prese forma già nel 1895 con il governo Crispi e fu reso obbligatorio per tutti i lavoratori nel 1919 dal governo liberale di Vittorio Emanuele Orlando. Anche le colonie per bambini malati, come quelle dedicate alla tubercolosi, nacquero da iniziative filantropiche e sanitarie sviluppate nell’Italia pre-fascista.
Le bonifiche delle terre, pur celebrate come uno dei grandi successi del regime, si basarono su lavori iniziati dai governi precedenti, e i risultati furono spesso inferiori rispetto ai proclami propagandistici. Sul fronte delle libertà civili, il periodo fu segnato da una rigida censura della stampa, che eliminò ogni forma di dissenso e controllo sull’informazione, garantendo al regime il monopolio sulla narrazione pubblica. Erano progetti che, nel loro piccolo, cercavano di offrire una sicurezza di base a chi ne aveva più bisogno. Ma da allora, cosa è rimasto? Cosa è stato fatto per continuare a garantire queste tutele? Niente più! Le pensioni le aumentano in modo ridicolo, anzi direi di sfida, giusto per tastare il polso di rivolta del popolo italiano ( invece dormiente..) di uno o tre euro, una volta l’anno, pensioni veramente esigue, quando i nostri politici hanno ben altri redditi. Le case popolari, oramai fatiscenti, vengono via via, demolite come nel grande complesso di Milano in viale Lorenteggio 181, dove viveva mia nonna giovanissima vedova di guerra. Le colonie, dette sanatori, sono chiusi da decenni e così via…
Un pianeta da ripensare
Il consumismo, con il suo ciclo infinito di produzione e spreco, non può più essere la risposta. La Cina, che per anni ha inquinato per alimentare il suo business, ora sta cercando di fare l’inverso, bonificando il territorio. Ma anche questo è mosso dal profitto, non da un vero cambio di paradigma.
Quello di cui abbiamo bisogno è un sistema che metta al centro la sostenibilità e la dignità umana. Che garantisca una casa per tutti, anche piccola, e un reddito che permetta a ogni persona di vivere senza paura, senza essere schiava del lavoro o del consumismo.
Un nuovo modo di vivere
Il minimalismo può essere un primo passo. Non significa privarsi di tutto, ma scegliere consapevolmente. Significa smettere di accumulare l’inutile e riscoprire il valore delle cose semplici: il profumo di un fiore, una passeggiata nella natura, un sorriso. Significa rispettare il pianeta, sapendo che ogni nostra scelta, per quanto piccola, ha un impatto.
Ma non possiamo farcela da soli. Serve un cambiamento globale. Serve il coraggio di ripensare l’intero sistema. E serve la volontà collettiva di costruire un mondo dove nessuno venga lasciato indietro.
Il tempo di scegliere
Il pianeta ci sta mandando segnali chiari: il tempo sta scadendo. Ma non tutto è perduto. Come abbiamo superato le sfide delle epoche passate – le epidemie, le guerre, le rivoluzioni – così possiamo superare anche questa. Serve coraggio, visione e la volontà di cambiare.
Forse non sappiamo quale sarà lo spiraglio che ci salverà. Ma possiamo iniziare da qui, con piccoli passi, con scelte consapevoli, con un impegno collettivo. Perché il futuro non è scritto, e il nostro destino, così come quello del pianeta, è ancora nelle nostre mani. S.S.C.