Erano le otto del mattino di una settimana fa quando, dopo una salutare doccia, barba e capelli a lametta (essendo pelato), salii in ascensore e sentii una leggera vampata di calore sotto la mandibola destra. Pensai fosse un ritorno di nevrite postvaccino antinfluenzale, ma proseguii come sempre, sopportando i piccoli acciacchi della vecchiaia incalzante.
La giornata era fredda e ventosa. Mi sentivo appesantito dai dolci e dai pranzi delle festività, oltre che dalla mia “salamitudine”: un’abitudine irrinunciabile a gustare del buon salame tagliato grosso. Raggiunti gli amici nella piazza dove un tempo sorgeva un bar decoroso vicino ai resti dei templi romani e al Palazzo del Monte dei Paschi di Siena, ci incamminammo verso il pendio del Borgo Maestro, ora Corso Italia, schivando auto, furgoni, mezzi della nettezza urbana e delle forze dell’ordine.
La vampata del mattino si era trasformata in una fastidiosa uggia quando arrivammo al solito bar sotto il loggiato, vicino al cortile dove Paolo parcheggiava la sua Fiat 1500 Spider bianca. La colazione era la solita: un crostino e acqua per Dindo, un orzo macchiato in tazza grande per quello di Montagnano, due macchiatoni per i due aretini doc, un piccolo orzo per quello del Montecoronario e, per finire, due paste a scelta del cameriere.
Mentre gustavo una sfogliatina alla marmellata, quella leggera uggia si trasformò in un dolore acuto che mi tormentò per tre giorni, finché il dolore pervase tutta la mia bocca. Scoprii che il colpevole era il dente del giudizio, a 79 anni. Questo, posizionato di traverso in fondo alla gola e vicino al nervo, spingeva su un dente incapsulato, causando un’infezione e il gonfiore di una linfoghiandola sotto la mandibola. Nonostante gli antibiotici e il Brufen, dovrò sottopormi a un intervento.
Ma ora mi chiedo: se perderò anche questo giudizio, cosa ne sarà di me?