A due passi dalla chiesa di Santa Croce, in una delle vie che conducono al cuore della giustizia aretina, si erge (anzi, si sporge) un simbolo inaspettato dell’incuria moderna: un armadio ripartilinea, o meglio, ciò che ne resta. Una struttura concepita per interconnettere la tratta telefonica primaria, oggi si presenta come un perfetto esempio di arte contemporanea involontaria.
Ecco l’installazione: un’anta che sembra scardinata da mesi, metà infilata in una busta nera da spazzatura – come una sorta di travestimento posticcio – e l’altra metà che riposa beatamente appoggiata al muro. Il tutto, naturalmente, tenuto insieme da nastro adesivo che nemmeno McGyver avrebbe potuto immaginare.
Non possiamo fare a meno di apprezzare l’impegno civico di chi, dopo aver rischiato di rimetterci le caviglie inciampandoci sopra, ha pensato bene di “ricollocare” lo sportello contro il muro, come si fa con una bicicletta vecchia abbandonata. Ma è solo una tregua temporanea: bastano una folata di vento o un giorno di pioggia per vederlo riversarsi trionfalmente in mezzo al marciapiede, ostacolando il passaggio e trasformandosi in un potenziale trampolino per cadute rovinose.
Dismesso? Forse. Ma allora perché lasciarlo lì a languire come una reliquia di un’era telefonica passata? Nuovo e fiammante, un altro armadio lo ha già sostituito, pochi metri più avanti, quasi a dirci: “Guardatemi, io sono il futuro!”. Ma intanto, il vecchio continua a restare lì, testardo e malconcio, come un fantasma tecnologico che nessuno osa (o vuole) esorcizzare.
E allora la domanda sorge spontanea: cosa si aspetta a rimuoverlo? Un decreto ministeriale? Un concorso pubblico? Oppure, più semplicemente, che qualcuno ci sbatta contro e si faccia male? Perché, si sa, spesso in Italia è solo l’incidente a smuovere la macchina della burocrazia.
Questo armadio non è solo un problema di decoro urbano: è il simbolo di un’indifferenza collettiva che ormai accettiamo con rassegnazione. E mentre aspettiamo l’inevitabile, c’è da chiedersi se l’armadio della vergogna, con la sua busta nera e il nastro adesivo, non sia in realtà una metafora perfetta per qualcosa di ben più grande: un sistema che, anziché risolvere i problemi, si limita a nasconderli sotto il tappeto. O, in questo caso, sotto una busta della spazzatura.
Avanti, Arezzo: dimostriamo di saper fare meglio. È solo un armadio, in fondo. Ma a volte è dai piccoli gesti che si misura il rispetto per i cittadini e per la loro sicurezza.
Ma qui non si tratta del pischello imbriaco che di notte rovescia il cassonetto dei rifiuti o dell incivile anonimo che lascia il materasso senza utilizzare il centro di raccolta. Questo e’ un lavoro aziendale e l azienda e’ identificabile e sanzionabile da qualsiasi vigile urbano.
Sono parecchi mesi che questo troiaio fa bella mostra di sè, si fa per dire, all’inizio di via Fonte Veneziana!