Era il 1757 quando Robert-François Damiens ferì leggermente Luigi XV di Borbone. A quei tempi, per i regicidi era prevista una pena terribile: essere squartato. Questo consisteva nell’essere legato mani e piedi a quattro cavalli sulla pubblica piazza, uno per arto, dopo aver subito altri atroci supplizi inflitti dal boia reale.
Lo spettacolo durò quattro ore. Tuttavia, preferisco non soffermarmi su questo: al solo pensiero la mia mente fugge altrove, incapace di immaginare una scena tanto straziante.
Luigi XV venne soprannominato “il Beneamato”, ma non per i benefici apportati al popolo. Il soprannome derivava piuttosto dalle donne, dalle amanti e dalle feste che avevano riportato splendore a Versailles. Il suo regno, però, fu segnato da una grave crisi economica e da un’epidemia di vaiolo che mieté molte vittime in Europa.
Fu proprio il vaiolo a uccidere Luigi XV nel 1774, poco prima della Rivoluzione Francese. Il re si credeva immune alla malattia, avendo confuso la varicella con il vaiolo. Per questo motivo, non si sottopose ai primi esperimenti di vaccinazione, che vennero sviluppati vent’anni dopo la sua morte grazie al medico inglese Edward Jenner.
La malattia, però, non gli impedì di avere numerose amanti. La favorita, nonché confidente, fu Madame de Pompadour, figlia di Madeleine de La Motte (con padre ignoto). L’ultima amante ufficiale fu Jeanne Bécu, contessa Du Barry. Prima di lei ci furono Jeanne Bécu de Cantigny e Jeanne Gonnard de Vaubernier.
In conclusione, nonostante il suo corpo fosse segnato dal vaiolo, Luigi XV non smise di collezionare amanti. Una dopo l’altra, queste donne divennero “Maîtresses en titre”, ossia le amanti ufficiali del re.