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Risvegliarsi prima che sia troppo tardi

Tecnologia, sorveglianza e identità: il futuro è una scelta da guidare o una distopia da evitare?

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Nel 1949, George Orwell pubblicò 1984, un romanzo distopico che immaginava un futuro in cui il controllo della società era totale. In questo mondo opprimente, ogni pensiero, azione e comunicazione erano monitorati e manipolati da un Partito che deteneva il potere assoluto. Il protagonista, Winston Smith, viveva sotto l’occhio vigile del “Grande Fratello”, simbolo di una sorveglianza onnipresente che annullava ogni forma di libertà individuale.

Orwell non era solo un narratore, ma un visionario. Non poteva sapere che, decenni dopo, il suo “Grande Fratello” avrebbe assunto forme tecnologiche: satelliti, algoritmi, piattaforme digitali capaci di raccogliere, analizzare e persino manipolare i dati di miliardi di persone. Oggi, la sua visione non è più una fantasia, ma un rischio concreto che ci invita a riflettere.

Uno degli esempi più discussi è il progetto Starlink di Elon Musk, una rete globale di satelliti pensata per fornire connessione internet ovunque nel mondo. Musk, noto per la sua genialità e la sua visione futuristica, è un uomo che sembra ispirarsi al “Dio di Spinoza”, cercando il bene dell’umanità attraverso l’innovazione. Eppure, come spesso accade con le tecnologie avanzate, ciò che nasce con intenzioni positive può diventare un’arma a doppio taglio.

Cosa accadrebbe se questa rete, così capillare e potente, finisse nelle mani sbagliate? Musk, nonostante le sue qualità, è pur sempre umano, e come tutti noi è soggetto alla fragilità della vita. Chi erediterebbe il controllo di queste tecnologie in caso di cambiamenti improvvisi? Quali garanzie abbiamo che non vengano usate per scopi meno nobili?

Le implicazioni sono profonde. Una rete come Starlink potrebbe essere utilizzata per sorvegliare masse di persone, manipolare opinioni politiche e persino interferire nei processi democratici. Siamo già immersi in un mondo in cui i dati personali vengono sfruttati per modellare le nostre scelte; aggiungere a questo un’infrastruttura satellitare globale amplifica i rischi.

A tutto questo si aggiunge un nuovo spettro: il transumanesimo. Questo movimento culturale e scientifico punta a potenziare le capacità umane attraverso la tecnologia, fino a trascendere i limiti naturali del corpo e della mente. Se da un lato promette progressi straordinari, dall’altro pone interrogativi profondi: cosa resta dell’essenza umana quando ci trasformiamo in esseri ibridi, dipendenti da sistemi tecnologici che non controlliamo?

E qui propongo una metafora: chiudiamo gli occhi e immaginiamo di risvegliarci in un pianeta popolato esclusivamente da un’unica specie animale. Per esempio, solo babbuini. Nessun uccellino che canta, nessuna gallina che depone un uovo, nessun serpente, nessuna diversità. Un mondo uniformato, dove la bellezza della varietà è stata completamente cancellata. Che mondo sarebbe?

E se siamo riusciti a fare tutto questo disastro in soli 70 anni, cosa sarà del nostro meraviglioso Eden, che abbiamo già rovinato in neanche un secolo, tra altri 70 anni? Questa è la vera domanda che dobbiamo porci.

E non dimentichiamo un altro fattore: la mancanza di sovranità tecnologica. Affidarsi a un sistema privato e globale significa cedere una parte della nostra autonomia nazionale e comunitaria. L’Europa, ad esempio, sta cercando di sviluppare progetti come IRIS² per creare una rete indipendente, ma è sufficiente per contrastare l’influenza di colossi privati?

La domanda centrale è: possiamo ancora tornare indietro? La risposta, se siamo onesti, è probabilmente no. Non possiamo spegnere il progresso tecnologico né cancellare ciò che è già stato creato. Ma la vera questione è un’altra: se non possiamo tornare indietro, come possiamo guidare il futuro in una direzione più umana? Possiamo ancora intervenire per impedire che queste tecnologie diventino strumenti di oppressione anziché di progresso?

Aggiungo una mia posizione personale: sono contraria alla polizia europea e alla globalizzazione totale. Credo fermamente che dobbiamo mantenere le nostre identità nazionali il più possibile. Abbiamo già distrutto abbastanza; è tempo di fermarci e preservare ciò che siamo. La globalizzazione, se incontrollata, rischia di uniformare il mondo, eliminando le diversità culturali che rappresentano la nostra ricchezza.

Starlink, l’intelligenza artificiale, il transumanesimo e progetti simili rappresentano opportunità straordinarie, ma anche una responsabilità enorme. Non si tratta di demonizzare Musk o le sue idee, ma di riconoscere che il potere deve essere bilanciato da regole, trasparenza e una visione etica che metta l’umanità al centro. Solo così eviteremo di trasformare il nostro futuro in una distopia degna di 1984. S.S.C.

Note a piè di pagina:

“ George Orwell (1903–1950):
George Orwell, pseudonimo di Eric Arthur Blair, è stato uno scrittore e giornalista britannico, famoso per i suoi romanzi 1984 e La fattoria degli animali. Nato in India sotto il dominio britannico, Orwell trascorse parte della sua giovinezza in Birmania come ufficiale della polizia imperiale. Tornato in Europa, si dedicò alla scrittura e al giornalismo, vivendo esperienze che avrebbero plasmato la sua visione politica. Partecipò alla guerra civile spagnola come volontario antifascista, un’esperienza che lo portò a denunciare i totalitarismi di ogni tipo. 1984, pubblicato nel 1949, è considerato uno dei romanzi più influenti del XX secolo, una profonda riflessione sui pericoli della sorveglianza e della manipolazione del potere. La sua scrittura è caratterizzata da uno stile chiaro e incisivo, capace di sintetizzare idee complesse in forme accessibili e potenti.”

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Sabina Sabrina Crivellari
Sabina Sabrina Crivellari
Sabina Sabrina Crivellari, nata a Milano nel 1955, si trasferisce a Melzo nel 1990. Membro del “GAM” dal 1997, partecipa a mostre locali esplorando diverse tecniche artistiche: ritratti a matita, dipinti a olio, sculture in argilla e quadri in resina. Ha fondato una galleria d’arte e una scuola di cake design. Il quotidiano Il Giorno ha descritto via Napoli 37 come “la Montmartre di Melzo”. Attualmente, si dedica principalmente alla scrittura.
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