La demenza senile è una delle malattie più difficili da affrontare per chi vive accanto a chi ne è affetto. Si insinua lentamente, trasformando persone amate in estranei, con pensieri e comportamenti che lasciano ferite profonde nei familiari. Non si tratta solo di perdita di memoria: spesso emerge una rigidità nei pensieri, un’accresciuta ostilità o una gelosia ingiustificata, rendendo impossibili anche i gesti più semplici del quotidiano.
Chi si trova accanto a un malato di demenza, specialmente dopo una vita condivisa, sperimenta uno smarrimento lacerante. Non è solo il coniuge che cambia: è il senso stesso della relazione a essere messo in discussione. Quando i ricordi e i sacrifici di una vita insieme vengono negati con frasi taglienti come: “Questa casa è mia e tu sei solo un’ospite”, il cuore si spezza. È una dichiarazione che non solo ferisce, ma spazza via anni di lotte, fatiche, amore e dedizione, come se tutto ciò che è stato costruito insieme fosse dimenticato.
Il dolore non deriva solo dalle parole, ma da ciò che rappresentano: il disconoscimento dell’identità e del valore di chi ha camminato al fianco del malato. In molti casi, come in quello di un coniuge di novantacinque anni, il passato condiviso diventa una sorta di terra di nessuno. I ruoli di moglie, madre, infermiera, socia, vengono annullati, e ci si ritrova relegati a un ruolo marginale, come un’ospite non gradita nella propria stessa vita, non comprendendo la gravità di una bandiera bianca e un allontanamento per sfinimento dell’accudente.
Eppure, chi ha dedicato decenni a un matrimonio, chi ha cresciuto figli e nipoti, chi ha curato i legami anche con famiglie allargate, come un figlio di primo letto e i suoi discendenti, sa che il proprio valore non può essere cancellato da una malattia. Ma quando le parole feriscono, ci si chiede: “Quanto devo ancora sopportare? Quanto di me è rimasto intatto?”
La malattia, tuttavia, non giustifica tutto. Anche prima che la demenza prenda il sopravvento, certi caratteri – magari già dominati da tratti narcisistici o possessivi – si accentuano. L’amministrazione di beni comuni, che dovrebbe essere un simbolo di fiducia e collaborazione, si trasforma in un ulteriore strumento di controllo e manipolazione. Il senso di ingiustizia diventa insostenibile: si vive una vita di sacrifici senza mai sentirsi riconosciuti né rispettati, nemmeno nel diritto a una decisione semplice come rinfrescare le pareti di una camera di casa.
Eppure, la forza di chi affronta situazioni simili è straordinaria. La speranza risiede nella capacità di ricordare a sé stessi che il valore personale non dipende dal riconoscimento altrui, sopratutto di un malato di demenza. Perché, anche quando il passato viene negato e le parole feriscono, restano le scelte fatte con amore e dedizione. Resta l’esempio dato ai figli e ai nipoti, e il coraggio di andare avanti nonostante tutto.
Accettare la demenza senile significa imparare a convivere con una perdita quotidiana continua. Ma non significa accettare di annullarsi. Per chi si trova a vivere accanto a una persona affetta da questa malattia, forse l’atto più importante è riconoscere quando è il momento di chiudere un capitolo, di mettere fine a un percorso che ha portato troppo dolore. Non è una sconfitta, ma una scelta di libertà, un atto di amore verso sé stessi.
Ci sono momenti in cui il passato non può più essere un rifugio, ma deve restare lì, dove appartiene. È allora che si può decidere di guardare avanti, non con nostalgia né con rimpianto, ma con la determinazione di ritagliarsi uno spazio di serenità. Forse sarà uno spazio silenzioso, solitario, ma sarà finalmente libero. Un tramonto non è solo una fine: è anche un momento in cui tutto si placa, in cui le luci si attenuano e si può ritrovare pace, lasciando andare tutto ciò che non è stato e tutto ciò che è stato troppo.
Perché anche dopo il dolore, anche dopo la devastazione, c’è ancora una possibilità: quella di vivere il tempo che resta l, se resta, con la dignità e la libertà che ogni essere umano merita.
S.S.C.