Credo di aver perso solo tre partite dell’Arezzo dal vivo: Torres, Perugia, Milan. Non sono un grande intenditore di calcio, ma mi sento tradito nell’amore per la squadra della mia città.
Gli allenamenti sono stati giustamente allontanati a Rigutino per gli investimenti fatti, ma ripenso all’anno di Somma: quando i giocatori, il sabato mattina, dopo una rifinitura, passavano tra i banchi del mercato. Quando Capuano, in via Arno o alla Nave, faceva gli allenamenti portando una sedia per il mio amico Mori in campo. Quando un piccolo acciacco si veniva a sapere chiacchierando alla rete dell’antistadio, nei campi del Funghini, talvolta circondati da trecento persone…
E ora? Ora ci si nasconde, spesso a porte chiuse. Forse perché ci si vergogna. Si viene a sapere degli accadimenti alla pari del Corriere Aretino, con 48 ore di ritardo. Eppure c’è una diminuzione degli spettatori paganti. Una diminuzione che non dipende né dai risultati, né dal gioco, né dagli errori tecnici – non mi reputo all’altezza di giudicarli – ma solo dall’allontanamento della squadra dai tifosi, dal calore.
Sì, la curva canta. Ma è come un biglietto staccato, monotono. E la TV? Solo autostrade di interviste senza succo e senza nerbo. “Si deve voltare pagina.” Troppe volte sentita.
L’Arezzo è una squadra che viene allontanata dai suoi tifosi. Frigida. Che giochi bene o che giochi male, ma sempre frigida. Non dà soddisfazione a noi, botoli ringhiosi, sempre con “lance in resta!”