Si dice che la notte di Santa Lucia sia la più lunga dell’anno, ma per molti, in realtà, è il Natale a sembrare interminabile. Per chi vive il buio dell’anima, i giorni di festa si allungano in un silenzio assordante, fatto di assenze, di ricordi e di un senso di inadeguatezza. Per altri, invece, il Natale è una celebrazione, un’esplosione di luci e colori che riempiono il cuore di gioia. È come se le feste dividessero il mondo in due: da una parte chi le vive come un dono prezioso, dall’altra chi, per mille ragioni, le affronta come una prova.
Nella Bergamasca, dove Santa Lucia è ancora oggi una tradizione sentita, ai tempi di mio marito, nato nel lontano 1930, si festeggiava, nelle terre di Bartolomeo Colleoni, il 13 dicembre, non il 25. Per avere un’idea del tempo che fu, bisognerebbe riandare con la mente al famoso film “L’albero degli zoccoli”. Il grande regista di tale film è Ermanno Olmi. (Realizzato nel 1978, è ambientato nella campagna bergamasca di fine Ottocento e racconta le storie di umili contadini attraverso uno stile poetico e realistico. Ha vinto la Palma d’Oro al Festival di Cannes, consacrandosi come un capolavoro del cinema italiano, incomprensibile ai più se non sottotitolato, perché in dialetto stretto). Scene struggenti raccontano storie di tempi lontani, quando, a Santa Lucia, per i numerosi bimbi di casa, un paio di mandarini e qualche noce erano il massimo della felicità.
Mio marito, primo di dieci figli, ricorda le giornate gelide con gli zoccoli di legno ai piedi e la magia di quei piccoli doni che arrivavano come un miracolo. Erano anni in cui la semplicità dominava e tutto era centellinato, compresa la felicità. Forse proprio per questo, chi ha vissuto l’essenzialità della vita oggi può sentirsi fuori posto davanti al luccichio e all’opulenza delle feste moderne. Infatti, mio marito, ancora dopo 50 Santi Natali con me, non è riuscito a integrarsi nella fascinazione del 25 dicembre, avvento molto sentito, invece, da parte delle mie radici milanesi/veneziane.
Chicca in aggiunta: condivido che “a Venezia la celebrazione del Natale, il 25 dicembre, è sempre stata centrale nelle tradizioni locali. Tuttavia, la città vanta anche una profonda devozione per Santa Lucia, festeggiata il 13 dicembre. Questa venerazione è legata al fatto che le spoglie della santa siracusana sono custodite proprio nella mia Venezia da oltre otto secoli, precisamente nella chiesa di San Geremia.
La presenza delle reliquie ha reso la festa di Santa Lucia particolarmente sentita nella più bella città del mondo, con pellegrinaggi e celebrazioni religiose che attirano numerosi fedeli. Nonostante ciò, il Natale rimane la festività principale, caratterizzata da tradizioni come mercatini, luminarie e celebrazioni religiose diffuse in tutte le calli e campielli.”
Ma dietro alle luci e ai festoni c’è una realtà che spesso non viene raccontata. Per molti, il Natale è un momento dolente: c’è chi piange l’assenza di un figlio mai arrivato o la perdita di un affetto che non c’è più. C’è chi è rimasto solo, per una separazione o una tragedia, e chi non riesce a trovare conforto sapendo che il mondo è attraversato da circa 55 conflitti, alcuni a pochi chilometri da casa nostra. Ogni giorno le notizie ci ricordano quanto sia fragile la nostra serenità: guerre, incertezze economiche, tragedie che sembrano spegnere ogni desiderio di celebrare, l’“AI” che fagociterà milioni di persone a breve.
Eppure, in tutto questo, c’è anche chi cerca di resistere, di trovare una luce nelle piccole cose. Una pallina sull’albero, un dono preparato con amore, un abito da Babbo Natale che riesce a far sorridere un bambino. Sono questi gesti, spesso nascosti, che portano una scintilla di speranza nelle giornate più buie.
Ma dobbiamo riconoscerlo: per molti, le feste non sono un rifugio, ma una lotta. E questa consapevolezza dovrebbe spingerci a essere più umani, più compassionevoli. Non servono gesti grandiosi per fare la differenza: basta un invito a chi è solo, una parola gentile o un pensiero per chi soffre. Santa Lucia, simbolo di luce, ci ricorda che anche una candela può illuminare un’intera stanza, e che non è mai troppo tardi per accendere una piccola fiamma nel cuore di chi ci sta accanto.
Le feste sono uno specchio: riflettono ciò che siamo e ciò che portiamo dentro. Per alcuni, sono esplosioni di colori e risate; per altri, sono momenti di riflessione o di dolore. Non dobbiamo dimenticare che dietro ogni albero addobbato ci sono storie diverse, intrecciate di gioie e di fatiche. Forse il senso più autentico di queste giornate è proprio questo: non fingere che il dolore non esista, ma cercare di trasformarlo, anche solo per un attimo, in qualcosa di più leggero, più luminoso.
Santa Lucia, con il suo messaggio di luce nel cuore della notte, ci insegna a guardare oltre. Perché, anche nella notte più lunga, la luce trova sempre un modo per arrivare.
S.S.C.