Era il 15 novembre 1553, precisamente alle 10:35, quando Alfeo Tommasini, impegnato con una vanga a circa 30 metri a nord dalla nascente Porta di San Lorentino, colpì qualcosa di metallico mentre preparava le fondamenta del bastione attiguo. Si trattava di un ritrovamento straordinario: la Chimera di bronzo.
Alfeo, colto dalla scoperta, corse immediatamente dal suo capomastro. La notizia giunse presto al commissario locale e perfino al Granduca Cosimo I de’ Medici. Quest’ultimo intuì immediatamente il valore simbolico del ritrovamento e ordinò che la Chimera fosse trasportata a Firenze. Per il Granduca, il mostro mitologico rappresentava la vittoria della sua dinastia contro le forze ostili di Arezzo, un simbolo di propaganda politica che ribadiva il predominio dei Medici.
Per consolidare il proprio potere, Cosimo I non si limitò a celebrare il ritrovamento: fece abbattere le antiche torri di Arezzo, tra cui la Torre Rossa e il vecchio palazzo comunale, trasformando la città in una fortezza armata sotto il controllo dei suoi cannoni. Questo dominio, volto a soggiogare una popolazione famosa per il valore militare (come testimoniato nella battaglia di Montaperti), si compì anche grazie al tradimento di alcune famiglie dell’Alto Casentino nella battaglia di Campaldino e all’ineguale schieramento delle forze (tre contro uno).
La propaganda medicea serviva a legittimare un potere spesso basato su metodi spregiudicati, talvolta appoggiati perfino dal papato, come nel caso di Leone X, anch’egli un Medici. Tuttavia, Cosimo ignorava o trascurava un altro significato simbolico della Chimera, che per gli etruschi non rappresentava la forza bruta, ma l’equilibrio tra natura e cultura, tra spirito e materia.
Originariamente collocata all’inizio della strada che sarebbe poi divenuta l’antica via Cassia, la Chimera indicava il passaggio verso la civiltà, collegando Fiesole a Felsina (l’odierna Bologna), in un’epoca in cui Firenze era ancora da fondare. Gli etruschi l’avevano posta come monito e auspicio: il diritto e la cultura dovevano prevalere sul potere bruto e sulle forze distruttive.
Così, quel “bischero cravattinaro” di Cosimo I, accecato dalla sete di dominio, non comprese appieno il messaggio immortale del mostro etrusco. La Chimera simboleggiava infatti la vittoria dello spirito sulla materia, della civiltà sulla barbarie, un insegnamento che travalicava le logiche della propaganda e della forza.