Con la fine dell’epoca del diritto romano, le dispute venivano risolte con tempi lunghissimi e spesso a favore di chi era più vicino al potere, come il signore, il re, l’imperatore, o le autorità ecclesiastiche come il vescovo o il papa. La maggior parte delle controversie riguardava i poteri ecclesiastici, i monasteri o altre istituzioni, mentre le dispute private e popolari si risolvevano quasi sempre a favore dei potenti o con giustizia sommaria di parte, spesso costringendo gli sconfitti ad abbandonare la zona.
Centri culturali come Bologna, Arezzo, Modena, Mantova e Piacenza diedero un importante impulso alla ricerca di un “ordo iudicii” (ordine giudiziario) per le città-stato, che sentivano la necessità di stabilire un ordine condiviso tra le corti laiche ed ecclesiastiche. Così nacque la figura del politico, colui che aveva il diritto e il potere di querelare di fronte alla corte pubblica.
Dal processo privato si passò al processo dello Stato, e nacque la necessità di elencare in forma scritta le pretese in ogni tipo di controversia. Le “actiones” (azioni) si ampliarono per coprire sempre più campi di disputa. A Perugia, già nel 1200, troviamo un sistema di scritture notarili e i primi archivi di sentenze.
Le prove e le testimonianze dovevano risultare chiare e comprensibili, tenendo conto delle differenze linguistiche o dialettali. Dovevano inoltre essere valutate in base al grado di conoscenza dei fatti e alla credibilità del testimone, secondo i cosiddetti “dicta”. La procedura romana e gli arbitrati si integrarono per tentare di definire forme procedurali precise e condivisibili, ma anche allora le spinte politiche influenzavano l’esito dei processi.
Un esempio è l’esilio dei Bostoli da Arezzo, conseguente a una disputa con la famiglia Azzi di Borgunto. La torre dei Bostoli, situata di fronte a quella degli Azzi, impediva a questi ultimi di vedere il tramonto da maggio a settembre. I Bostoli, nobili Guelfi Bianchi, si contrapponevano ai borghesi e ghibellini Azzi, commercianti di prodotti locali come frutta, castagne e olio.
La querela durava da anni, ma la situazione si aggravò poco prima del 1260, quando le tensioni tra guelfi e ghibellini minacciarono l’indipendenza stessa della città di Arezzo, anche a causa di accordi segreti con il governo fiorentino. Durante il processo pubblico, si fece capire ai Bostoli che, senza prove del loro coinvolgimento negli accordi con i fiorentini, avrebbero dovuto lasciare la città per evitare accuse di tradimento. Così, gli Azzi poterono mantenere alta la loro torre.
Da questa storia emerse anche la leggenda di Ippolita degli Azzi e del suo sesto figlio, Azzolino, rapito da Rinaldo dei Bostoli, condottiero fiorentino durante l’assedio di Arezzo, dopo la vittoria fiorentina a Campaldino nel 1289.