Alcuni filosofi hanno diviso il tempo in passato, presente e futuro, ma nella realtà in cui viviamo, nella mente e nella logica dell’uomo, esiste solo il passato. La realtà del futuro può avere infinite rappresentazioni, e ognuna di queste dipende dalla massa, dal tempo e dallo spazio.
Prendiamo ad esempio un turista che desidera andare a Roma: per determinare quanto tempo impiegherà, bisogna considerare il mezzo di trasporto che sceglierà, la sua posizione di partenza e l’itinerario che seguirà. Il tempo del viaggio dipende da questi fattori. Certamente, ai tempi dei Romani, non esisteva l’Autostrada del Sole con quattro o sei corsie.
Quando il turista arriva a Roma, il suo viaggio è già diventato passato. Poi visita Castel Sant’Angelo, ed è di nuovo passato. Incontra un amico o un parente, ed è già passato. In questo senso, il futuro somiglia a una partita a biliardo: invece di fare un colpo preciso e mettere la palla nella buca, si tira una “scazzata”, e nel momento in cui il colpo si realizza (o meno), è già diventato passato. Il futuro, quindi, non esiste nella realtà, e nemmeno il presente, poiché ogni immagine o situazione che si fissa nella mente diventa subito passato. Questa è la vita, e allora come possiamo fermare questa fuga temporale?
La risposta potrebbe essere considerare il tempo in “steps”, ossia misurarlo nel suo continuo e sfuggente movimento. Gli antichi Egizi cercarono di misurarlo con sistemi idraulici ad acqua, tanto che alcuni studiosi ritengono che le piramidi siano state costruite come opere idrauliche per segnare il tempo del faraone nell’aldilà.
I Romani, invece, affidavano ai loro servi il compito di comunicare loro l’ora del giorno tramite clessidre ad acqua. Poi, nel III secolo a.C., portarono la meridiana da Catania e svilupparono anche piccole meridiane da polso, veri e propri “Rolex” dell’epoca. Così, si misurava la giornata con l’acqua e con il sole, le fonti di vita. Solo dopo il I secolo d.C. il giorno fu suddiviso in “horae”, cioè ore.
What time is it? È passato.