Rita scappa dal convento anno 3574+1
Dopo alcune settimane di reclusione nel convento, Rita, la novizia suturata Prebisantarita, insieme a Polka, un’altra suturata dal Dott. Chiavistelli, si calarono dalla finestra del convento sospeso utilizzando un cordone di rosari intrecciati.
Polka era alta e giunonica, con cosce bianche simili a statue di marmo. La stessa carnagione chiara si rifletteva nel viso, incorniciato da un cespuglio di capelli rasati e ricci, biondi. Le sue spalle erano larghe e le braccia possenti.
Per liberarsi dalla neurosutura dei voti, dovevano presentarsi davanti a uno dei sommi sacerdoti e pronunciare la fatidica frase: “Io la do!”.Continua a leggere
Scesero nella foresta al buio della sera. Le cosce bianche di Polka, illuminate dalla luna, brillavano come lampioni al neon, attirando l’attenzione di Menco, un cacciatore di frodo di bachi da seta alati, una razza protetta e in via di estinzione. Menco, nascosto tra gli alberi, vide le gambe di Polka muoversi e, pensando alle preziose falene, le corse dietro. Armato del suo P 3564, un fucile a ripetizione immediata con pallini di calibro uno, sparò e la colpì ai glutei.
“Ahi, ahi! Ex Prebisantarita, mi hanno sparato al culo, aiutami!” gridò Polka, ma non ebbe il tempo di finire la frase che Menco le fu addosso con il fucile puntato.
“Maremma, che cosce! Belle e invitanti!” esclamò Menco, e in un attimo si denudò, gettandosi su quel corpo martoriato.
“Ma che fai? Non vedi che mi hai ferita?” gridò Polka.
Menco capì la gravità della situazione, ma quando tentò di toccarla, entrò in contatto con la sutura ecclesiastica, che al minimo sfioramento spruzzava acido urticante come un innaffiatoio.
“Ahi, ahi! Che hai bevuto, fiele? Pisci acido che fa un male terribile?” esclamò Menco, mentre, raccattando i pantaloni e il giubbotto maculato, fuggiva imprecando contro tutti i santi, dall’Alfa alla Zeta.
Le due fuggitive ripresero la loro corsa fino a raggiungere la cappella di un sommo sacerdote. La cappella era una struttura sospesa, dove il sommo espandeva nel cascoetere le funzioni religiose. Riuscirono, con dei lacci costruiti in convento, ad arrampicarsi fino alla cappella e si trovarono di fronte al sommo sacerdote.
“Io la do!” esclamò Polka.
“Che de’? Non mi piaci, e poi sei tutta bucata!” rispose il sommo, che era della Valdichiana, di Brolio, cresciuto tra nane e porci d’importazione marziana.
“Noo! È la frase che dobbiamo dire per liberarci della sutura. Anch’io la do!” aggiunse Rita.
Ma il vecchio sacerdote, come un moderno Don Abbondio, si nascose dietro una colonna esclamando: “Ho l’acufene! Non sento nulla, eppure mi scappa… Mi rugghia il corpo, non capisco cosa volete dire!”
L’odissea di Menco dopo la peste del 3575
Menco, il cacciatore di frodo, contaminato dall’acido esorcistico spruzzato dalla sutura ecclesiastica di Polka, dovette affrontare piaghe ed escoriazioni terribili. Per curarsi, si rivolse alla saggia e vecchia briciautonoma Margarita, che gli consigliò decotti di erbe coltivate nel convento da cui erano fuggite Rita e Polka.
Così, per avere accesso al convento, Menco si fece frate.
“Sono FraMenco, sorella, inviato dal vice Vescovo come vostro confessore!” dichiarò all’uscio, dove lo accolse suor Eustachia, una monaca anziana e sorda, a causa di un forasacco che le aveva perforato un timpano. L’altro orecchio era stato lesionato dai canti acuti di Sor Canterina durante la messa.Continua a leggere
“Balli il flamenco? Io so ballare solo il liscio! E non abbiamo bisogno di un professore, anche se ti accontenti di un ovo fresco come compenso!” rispose la monaca, fraintendendo le parole di FraMenco.
Dopo diversi minuti, capendo che dall’altra parte non si sentiva nulla, FraMenco urlò: “SONO FRAMENCO, IL VOSTRO NUOVO CONFESSORE!!”, e finalmente gli fu aperto l’uscio del convento sospeso.
Per curarsi con le erbe, però, Menco doveva confessare tutte le monache presenti, circa 462. All’inizio fu rapido per necessità: faceva inginocchiare la monaca e, senza che pronunciasse una parola, le concedeva l’assoluzione senza penitenza.
Una monaca disse: “Con questo confessore possiamo fare qualsiasi peccato e ci assolve sempre!”
Un’altra rispose: “Meno male! Ieri ho nascosto una forma di cacio dalla dispensa nella mia stanza e me la sono mangiata tutta!”
Una terza intervenne: “Che fai come suor Cesara, che è morta per la sua voracità?”
“Non tocco ferro della croce! Oh, arriva la madre superiora!” disse la seconda, infilando la mano nella tasca della tunica.
Anche suor Marianna, la superiora, si confessò, ma FraMenco la lasciò parlare, a differenza delle altre. “Senti, caro FraMenco, ho voglia di un uomo che mi porti via. Stasera ci vediamo e facciamo una bella maialata, capito?” disse, rivelando la sua natura ninfomane. E il povero FraMenco dovette piegarsi per ottenere le cure tanto desiderate per le sue piaghe.
Prima dell’appuntamento, andò nell’orto a cogliere le erbe mediche. Per non rischiare di essere nuovamente contaminato dalle cerniere suturanti votive, prese un cetriolo e si preparò a incontrare suor Marianna.
Dopo l’incontro, il cetriolo era tutto sbucciato, ma FraMenco finalmente riuscì a curarsi.