Grembiule nero, colletto bianco estraibile con bottoni e fiocco azzurro: questa era la nostra divisa.
Impeccabile era il nostro capoclasse, lo Scatoni, preciso, con un passo veloce e inamidato, senza nessuna imperfezione.
Non era il più bravo, ma era l’unico disponibile a prendersi questa carica.
I due fratelli Marchi, uno più bravo dell’altro, erano imbattibili con il pallone in Fortezza. Francesco Raspini, alto e robusto, veniva dalla Somalia, dove suo padre lavorava come giudice.
Era la vittima predestinata dei fratelli Cerini dell’altra quinta: spiccioli e merenda o botte e calci.
Dopo qualche anno in Italia, conosceva a memoria le formazioni di calcio fino alla Serie D. Non era autistico, ma dotato di una volontà testarda, capace di ricordarsi persino le note di un testo.
Non c’è più, gli volevo bene; i nostri genitori erano amici.
Il Lambruschini, o “Lambrusco” come lo chiamavo io, sembrava sempre assente, tanto che si diede alla politica, diventando pure assessore.
Anche lui, purtroppo, non c’è più.
Patrizio, il più bravo a disegno, aveva un uso dei colori da far invidia a Picasso.
Non usava sfumature, era un vero artista, figlio di un avvocato pittore.
(Alla sua comunione gli regalarono i guantoni da boxe: lui mancino si mise il sinistro, io il destro, e al primo colpo mi mise ko!)
Igino Giani ed io affrontavamo ogni mattina insieme la salita di Fontanella.
Lui abitava in via Pisano, figlio di un geometra, ed era il più bravo in “lavoro”, una materia che avevamo allora.
Fece un plastico dell’Italia che avrebbe potuto essere chiamato subito dalla De Agostini, la casa editrice di Atlanti Geografici.
Carlino De Giudici e io facevamo gare per risolvere i problemi: sveglio, rapido e sintetico, un vero matematico.
Si iscrisse all’università, ma una emorragia lo portò via giovane.
Mario, slampanato, viveva già allora in un mondo tutto suo, come adesso, ogni tanto in crisi quando il suo esistere contrastava con la realtà che lo circondava.
Il Bennati, con i suoi occhiali spessi due dita, scriveva a due centimetri dal quaderno. Poverino, una volta lo vidi picchiato dal padre, carabiniere, davanti a tutta la classe con la cintura di ordinanza.
È diventato ginecologo (ho sempre pensato che nella professione, sentendo il richiamo della foresta, entrasse dentro con la testa).
Sono diversi anni che non lo vedo.
Luigino Cocchi, il bastian contrario, critico ma, in fondo, una brava persona.
Prima di andarsene, si è tolto la soddisfazione di dare qualche schiaffo inaspettato a chi gli pareva.
Gli altri erano meno rilevanti: geni, pazzi, ma tutti alunni di una scuola dove ancora si usava “bordare” con righelli, bastoni, e pure calci.
E il giovedì, un bel cucchiaio di olio di fegato di merluzzo da ingoiare!