Parte 1
Eravamo arrivati su una spiaggia nella Baia di Conception, nel Golfo della California. Il gruppo era composto da 12 persone: tre romani, due fidanzati (o pseudo-fidanzati) e un single, la “capessa” di Firenze, noi quattro di Arezzo (io, la mia ex moglie e due nostre amiche), madre e figlia di Napoli, e un ragazzo di Milano.
Alcuni di noi si misero a giocare a pallavolo, ma io mi infortunai al tendine d’Achille. Per fortuna eravamo vicini a un ristorante gestito da un americano sposato con una messicana. Mi diede un antidolorifico e mi fece accomodare su un divano all’interno, accendendo la TV sopra il bancone del bar.
Sul canale apparve il meteo: “Hurricane”. La cartina mostrava proprio la zona dove ci trovavamo, attraversata da una striscia rossa. L’americano iniziò subito a sprangare finestre e porte con assi e chiodi. Mi spiegò che entro 12 ore sarebbe arrivato un uragano, a cui avevano dato un nome maschile perché proveniva dal Pacifico (a differenza di quelli dal Golfo del Messico, che ricevono nomi femminili).Continua a leggere
Lui e sua moglie partirono subito verso Loreto. Noi, con tre auto (due Golf e un Maggiolino), ci dirigemmo verso Mulegé, dato che dovevamo riconsegnare le macchine due giorni dopo a Tijuana.
A quel punto ero diventato di fatto il leader della spedizione, soprattutto dopo gli spari all’hotel Milano di San Diego, l’avventura sulla scogliera di Capo San Lucas dove l’alta marea ci aveva bloccati, e io avevo ideato il metodo della lunga fune per trasferirci fino al barcone che non riusciva ad avvicinarsi. E dopo il “torello” subito…
Parte 2
Dopo aver sventato un tentativo di rapina con la tecnica del “torello” due giorni prima, la fiducia del gruppo – specialmente del mio equipaggio – nelle mie decisioni era assoluta.
Dopo l’insabbiamento della Golf alla Baia della Muerte, riuscimmo a raggiungere una casa di peones che avevano un pick-up. Mi fecero prendere un canapo da un bidone pieno di piattole giganti (!), e con quello riuscimmo a rimettere l’auto in carreggiata.
Durante il tragitto ci attraversarono la strada un coyote, un’alce messicana e potemmo guadare un torrente, passando sopra un serpente spesso quanto un tronco di ciliegio. Raggiungemmo finalmente la statale SS1 della California, e presso un bar-distributore facemmo il pieno di gasolio, osservati da un gruppo di avventori poco rassicuranti.
Calò presto la notte. Una Ford Mustang ci superò, e io decisi di accodarmi per sicurezza: sulle strade notturne, infatti, capita spesso di trovare mucche addormentate, che sono causa di molti incidenti mortali.Continua a leggere
Ma presto un furgone finestrato si accodò a noi: era la classica tecnica del “torello”. L’auto davanti rallenta e quella dietro ti chiude ogni via di fuga per rapinarti. La Mustang iniziò a zigzagare, impedendomi il sorpasso. Ma a un certo punto, approfittando di un rettilineo, feci finta di sorpassare da una parte e invece accelerai dall’altra, superandola di slancio e seminando i due veicoli. Rischiai di trovare animali in mezzo alla strada, ma proseguii senza fermarmi.
Scendendo, con i fari abbaglianti, vidi in uno spiazzo il furgone che mi aveva seguito prima: era salito con le ruote anteriori su un cumulo di pietrisco. Tre persone gesticolavano chiedendo aiuto. Non so da quale scorciatoia fossero passati per precederci, ma io tirai dritto a tutta velocità fino a rifugiarmi nei pressi dell’aeroporto di San Lucas. Mi infilai nel parcheggio di un motel, dove pernottammo. Era passata da poco la mezzanotte.
Parte 3
La mattina dopo decidemmo di andare al punto di unione tra il Pacifico e il Golfo. Fu la giornata della scogliera. Al calar del sole, ci salvarono, soprattutto grazie a me. Gli altri, che non erano venuti con noi, avevano trovato solo due container pieni di fori nel pavimento, da cui già spuntavano le blatte. Le donne, invece, avevano trovato solo una stanza per sei persone: era tutto esaurito…
Mi allontanai, disgustato, e chiesi dov’era il miglior hotel della zona. Mi indicarono un posto da “Mille e una notte”, con giardino, piscina e uno stile palladiano. Entrando, mi confusi subito tra i turisti che stavano in piscina. Mi procurai la chiave dello spogliatoio e un accappatoio. Non avevo né valigia né dollari: portavo solo sandali, pantaloni corti, il costume sotto e una maglietta.Continua a leggere
Presi un bicchiere da un cliente e, a tarda ora, mi rinchiusi in uno dei bagni dello spogliatoio, dove c’erano alcune poltroncine pieghevoli. Mi chiusi dentro, aspettai che tutti se ne andassero e mi addormentai lì.
La mattina dopo feci colazione al buffet, mi rimisi in piscina e, verso le dieci, andai in cerca degli altri. Erano al mercato, lungo il molo del porto. Non riuscivano a crederci! Ma nei matrimoni ero un esperto nel confondermi tra parenti e amici, sia dello sposo che della sposa!
Eravamo rimasti all’annuncio dell’uragano. Presi con me tutte le donne e trovai un garage in cima a una collina di Mulagé. Gli altri, invece, trovarono alloggio in comodi bungalow turistici, giù in paese. Ma feci comunque lasciare tutte le auto in alto, lontane dagli alberi…
L’uragano arrivò, annunciato da un vento oltre i 200 all’ora, con fulmini e tuoni. Dalle fessure della saracinesca vedevamo bagliori seguiti da frastuoni incredibili. Un vaso con una pianta fu scagliato contro il metallo e lo piegò. Poi, verso l’alba, tutto passò.
Alberi divelti, rami spezzati… Scese zoppicando — a causa di un tendine rotto — verso il paese, che era sommerso da acqua marrone e tronchi. Gli altri erano salvi, ma completamente fradici. Fortunatamente i bungalow avevano letti a castello, e tutti erano sul letto superiore. Non avevano chiuso occhio per tutta la notte.
Per raggiungermi — io mi trovavo su una sorta di argine, nel mezzo del fiume che attraversava il villaggio semisommerso — dovettero attraversare quell’acqua marrone che gli arrivava fin sopra la vita!
«Che notte tremenda abbiamo passato!» dissero.