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Il valore invisibile della cura e il peso della violenza

Dalla leggenda della dea Cura alle tragedie di Francesca, Pia e Anna Bolena: il valore della donna tra sacrificio e ingiustizia

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La donna è sempre stata il cuore della vita umana. Non solo perché genera i figli, ma perché li accoglie, li nutre, li protegge, li educa. Il suo ruolo va oltre la maternità: la donna è da sempre custode del sapere, della memoria e delle relazioni umane. È quella che tiene insieme la famiglia, il lavoro, la casa, gli affetti. Eppure, per secoli, questa funzione è stata considerata naturale, scontata, invisibile.
Anche gli antichi Romani riconoscevano il valore della cura, tanto da attribuirle un’origine divina. Secondo la leggenda della dea Cura, fu lei a plasmare il primo uomo con il fango della terra. Poi chiese a Giove di dargli un’anima, ma subito nacque una disputa:
•Giove sosteneva che l’uomo gli appartenesse perché gli aveva donato l’anima.
•La Terra rivendicava il corpo dell’uomo, fatto con la sua sostanza.
•La dea Cura, invece, diceva che era sua creazione e quindi le apparteneva.
Alla fine, si giunse a un compromesso: quando l’uomo fosse morto, il corpo sarebbe tornato alla terra, l’anima a Giove, ma durante la vita l’uomo sarebbe appartenuto alla Cura.
Questa leggenda porta con sé un insegnamento profondo: la cura è la sostanza stessa della vita. Nessuno può esistere senza essere curato, accudito, protetto. E chi meglio della donna ha incarnato questa funzione nei secoli?
Ma se la cura è sempre stata essenziale, non è mai stata riconosciuta come un valore, bensì come un dovere femminile. È da qui che nasce l’ingiustizia più grande: le donne hanno sempre dato vita, ma spesso la loro vita è stata schiacciata da chi non ne riconosceva il valore.
Paolo e Francesca: l’amore punito con il sangue (XIII secolo)
Un’altra tragica storia raccontata da Dante è quella di Paolo e Francesca, vissuti nel XIII secolo.
Francesca da Rimini era una giovane donna di straordinaria bellezza e intelligenza, promessa in matrimonio a Gianciotto Malatesta, un uomo potente ma rozzo, molto più anziano di lei, descritto nelle cronache come brutto e claudicante.
Francesca fu costretta a sposarlo per motivi politici. Nel castello dei Malatesta conobbe Paolo il Bello, fratello del marito, il quale era tutto ciò che Gianciotto non era: affascinante, gentile, colto. Tra i due nacque un amore profondo e inevitabile, ma quando Gianciotto scoprì la loro relazione, non ebbe pietà: li uccise entrambi con la spada.
Dante li colloca nel Girone dei lussuriosi, condannati a vagare eternamente nel vento. Ma secoli dopo, chi leggerà questa storia si chiederà: chi era il vero colpevole? Francesca, che non aveva scelto il suo destino, o il marito che ha usato la violenza per vendicarsi?
Pia de’ Tolomei: il peso della gelosia (XIII secolo)
“Ricordati di me, che son la Pia;
Siena mi fé, disfecemi Maremma.”
Con queste parole, nel Purgatorio della Divina Commedia, Dante fa parlare Pia de’ Tolomei, una nobildonna vissuta nel XIII secolo.
Secondo la tradizione, fu assassinata dal marito, Nello Pannocchieschi, signore della Maremma, che la fece imprigionare in un castello e la lasciò morire di stenti, forse per gelosia, forse per risposarsi con un’altra donna.
La storia di Pia è ancora avvolta nel mistero, ma il punto centrale resta: una donna uccisa da chi avrebbe dovuto proteggerla. Quante Pia de’ Tolomei ci sono ancora oggi?
Enrico VIII: il potere di vita e di morte sulle donne (XVI secolo)
Se nel Medioevo le donne venivano uccise per gelosia o per onore, nel XVI secolo, con Enrico VIII d’Inghilterra, la violenza sulle mogli divenne uno strumento politico.
Enrico VIII, famoso per aver fondato la Chiesa anglicana, sposò sei donne, ma due di loro fecero una fine tragica: Anna Bolena e Caterina Howard furono decapitate per volere del re.
•Anna Bolena, la madre della futura regina Elisabetta I, fu accusata di tradimento e incesto. La realtà? Enrico VIII voleva liberarsi di lei per sposare un’altra donna.
•Caterina Howard, appena diciannovenne, fu accusata di infedeltà e giustiziata.
In entrambi i casi, non c’erano prove reali, ma la parola del re era legge. Enrico VIII si liberava delle sue mogli come fossero oggetti, esattamente come accade ancora oggi in molti femminicidi: l’uomo che non accetta di perdere il controllo, elimina la donna.
La violenza sulle donne ha attraversato i secoli: dai castelli medievali ai tribunali di oggi, il risultato non è cambiato.
Un nuovo equilibrio tra uomini e donne
Un domani giusto sarebbe un domani in cui chi si dedica alla famiglia non debba rinunciare alla propria indipendenza. In cui il tempo, l’energia e la dedizione di chi cura non siano più dati per scontati, ma riconosciuti come quello che sono: il pilastro su cui si regge il mondo.
E fino a quando questo non accadrà, la battaglia per la vera equità non sarà finita.
S.S.C.

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Sabina Sabrina Crivellari
Sabina Sabrina Crivellari
Sabina Sabrina Crivellari, nata a Milano nel 1955, si trasferisce a Melzo nel 1990. Membro del “GAM” dal 1997, partecipa a mostre locali esplorando diverse tecniche artistiche: ritratti a matita, dipinti a olio, sculture in argilla e quadri in resina. Ha fondato una galleria d’arte e una scuola di cake design. Il quotidiano Il Giorno ha descritto via Napoli 37 come “la Montmartre di Melzo”. Attualmente, si dedica principalmente alla scrittura.
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