Le squadre partecipanti erano quattro: dipendenti del Comune, dell’Ospedale, Ferrovieri e un gruppo chiamato “La Canaglia”. Il nostro centravanti, in appena tre partite, segnò 18 gol. Potete immaginare i risultati!
Io, di solito, entravo in campo a partita ormai decisa. Tuttavia, nell’ultima sfida contro i Ferrovieri, imbattuti come noi, il “Cata” mi fece entrare già nel primo tempo: avevamo subito due reti. Cambiai le sorti del match con pressing, velocità e contrasti quasi al limite del regolamento durante le loro azioni difensive. Riuscimmo a chiudere con un trionfale 8-2 a nostro favore.
Non ricordo tanto il successo quanto l’ambiente. Conoscevo già il “padiglioncino” del dottor Marzi, dove era stata ricoverata una zia di mia moglie, ma a causa delle docce della lavanderia non funzionanti, fummo costretti a utilizzare quelle di un altro padiglione. Lì vedemmo letti di contenimento e l’attrezzatura per l’elettroshock (TEC, terapia elettroconvulsivante). Per molti fu uno spettacolo sconvolgente.
Non per me. Durante il corso di Criminologia all’Università di Perugia, avevo visitato il manicomio della città e stretto amicizia con “Campari”, un uomo di circa quarant’anni, unico sopravvissuto della sua famiglia dopo un bombardamento. Durante le lezioni, faceva da mia “guardia del corpo”. Questi ricordi riaffiorano pensando che, nel 1978, la legge Basaglia abolì questi trattamenti, segnando la fine di un’epoca di grande sofferenza.