Poteva lasciare una cicatrice per diverso tempo, con la speranza che il bersaglio fossero solo le gambe… in campagna era un metodo educativo, coercitivo, punitivo, come i righelli dei maestri sui polpastrelli delle dita degli alunni dei miei tempi… ma era utilissimo per creare attrezzi utili in campagna e pure in città.
Da una sorgente nel bosco, poco sopra un pollaio dismesso con tre pozzetti di controllo ogni 200 metri, tramite tubi ormai fatiscenti, arrivava un filo d’acqua che, dopo aver riempito un serbatoio in soffitta, dava acqua a due cannelline e, più a monte, a una vasca con i pesci rossi nel giardino d’inverno e, sotto a questa, a un balcone lavatoio usato da noi grandi come piscina.
Precedentemente, nel 1700, quando la villa era stata di proprietà di nobili cortigiane dei principi Lorena del Granducato di Toscana, la conduttura che portava acqua dalla collina era fatta di manufatti di coccio ad incastro, lunghi più o meno 49 cm per ogni segmento, e ancora se ne trovano dei frammenti lungo un sentiero.
Tornando ai vinchi di giunco: venivano messi a mollo in una vasca della prima delle due cannelline esterne della villa, dove, sopra il porticciolo (piccolo portone), vi era un San Donato di un Della Robbia, ora in visione al museo medievale di Arezzo. Diverse fascine di questi rami di vincaia venivano divise per misura e grossezza, secondo il loro utilizzo. Vi erano quelli per le sedie, per i graticci, per i battipanni, per i cesti di varia grandezza, per le ceste delle damigiane e quelli più corti per i fermagli di queste attrezzature e di altro materiale come le scope di saggina.
La fiera di settembre a Sant’Agostino era rinomata per questi attrezzi, e in ogni filare di testucchi nei campi vi era una vincaia che era curata e potata, tanto era importante; poi la plastica l’ha fatta diventare inutile.