“Salve Gerardo, che fai qui in Campo Marzio!?” domandai alla persona che sapevo sarebbe poi diventata Papa. E lui rispose: “Veni huc cum amico ut inveniamus thesaurum Augusti!”
“Parla come sai, Gerberto d’Aurillac!” lo invitai, e lui proseguì: “Sono dodici ore che scaviamo qui e siamo sudati come due muli. Vieni con noi al ristorante, ti ospitiamo!”
“Grazie, avevo proprio fame!” risposi.Continua a leggere
Gerberto era minuto, ma con un’incredibile capacità di iniziativa. I suoi occhi vispi, degni di un commerciante genovese, non disdegnavano la fatica per trovare il tesoro. Entrammo in un ristorante sorvegliato da armati all’ingresso. Ci fecero accomodare su soffici poltrone a un tavolo apparecchiato con posate d’argento placcato. Ordinammo spaghetti all’astice, aragosta brasata al vino bianco e un San Gimignano del ’96. Per finire, ci portarono sorbetto e limoncello. Gerberto pagò il conto: 34 euro in tre, senza IVA. Ne fui meravigliato.
I due, stanchi per lo scavo, si fecero fare dei massaggi da esperte professioniste e si sistemarono i capelli da un coiffeur, che aveva lasciato la sua Maserati all’ingresso del ristorante, tutto gratuitamente. Alla fine, Gerberto, futuro Papa Silvestro II, rivolto all’amico disse: “Basta scavare, il nostro tesoro l’abbiamo trovato!”
Li ringraziai e, uscito dal ristorante, chiesi a un militare: “Ma dove siamo qui?”
Guardando verso una statua che non c’era più, il militare rispose: “Siamo al Parlamento della Repubblica.”
“Ah!” dissi io, “dove la famiglia Fratoianni e Bonelli percepisce circa 80.000 euro al mese, il loro tesoro di sinistra!”
A Casa di Papa Silvestro
Dopo il pranzo offerto da Silvestro II, e confermato il ritrovamento del Tesoro di Augusto a Campo Marzio (o Montecitorio), mi venne la curiosità di andare a trovare Gerberto in Vaticano. Chiesi a un vigile dove risiedessero i Papi in quel periodo, ma non seppe rispondermi. Usando il mio acume, mi recai verso il Laterano, in zona Senato, e su uno dei campanelli trovai la targa “Maison d’Aurillac, Papa”. Suonai e mi aprì… non un servitore qualunque, ma un automa con il volto di bronzo, dotato di marchingegni che gli permettevano di svolgere ogni funzione. Mi chiese: “Chi devo annunciare?”
“Digli che sono Cesare” risposi. Continua a leggere
Mi fece accomodare e, poco dopo, mi condusse in un cortile interno, contornato da un portico e aiuole ben curate, al centro del quale si trovava un gazebo in muratura. Lì c’era Silvestro.
“Di nuovo tu, Cesare. Hai ancora fame?”
“No, no! Ero venuto a vedere cosa avete trovato come Tesoro.”
“L’hai visto, è un automa. Fa da maggiordomo, autista e persino cucina e stira. Solo le camicie devo portarle dal cinese!” rispose Gerberto.
Mi mostrò anche un anello con la Stella di David: “Lo porto solo in casa, se lo vedessero fuori avrei problemi con tutti quei cortei!” aggiunse.
Prima che l’automa si dirigesse in cucina, Silvestro gli ordinò: “Portaci delle tisane digestive!”
Rimasi meravigliato dalla splendida dimora. Mi disse che gli era stata regalata. Dopo un’ora di colloquio mi mostrò il suo garage privato, con macchine di scorta e guardie armate. “Silvestro, come fai a mantenere tutto questo?” gli chiesi.
“Sai, come Papa guadagno poco, ma da quando sono a Montecitorio, tutto questo è possibile. Non mi resta che recitare bene la mia parte. Aiuto i poveri per stare bene io. Se loro stanno sempre male, io sto sempre bene. Siamo in una scena continua di personaggi che recitano solo per il proprio egoistico benessere.”