Partiamo dalla Cattedrale di Arezzo: lungo la fiancata laterale si possono ammirare cinque enormi finestroni, che rappresentano uno degli esempi più alti dell’arte vetraria del XVI secolo. La perfezione del disegno e l’uso sapiente del vetro, insieme alla posizione strategica, catturano immediatamente lo sguardo. Ciò che affascina ancor di più è la brillantezza dei colori.
Guglielmo Marcillat, nato a Châtres, in Francia, nel 1470, si trasferì a Roma su richiesta di Giulio II. Qui collaborò con Raffaello alle stanze vaticane, ma molte delle sue opere in vetro furono distrutte durante il Sacco di Roma del 1527. Le sue creazioni più significative si trovano a Cortona e, soprattutto, ad Arezzo, dove si stabilì nel 1517 e dove morì nel 1529.
Ritornando al Duomo di Arezzo, Marcillat utilizzò come sfondo un’architettura classica per dare armonia alle sue figure: colonne di porfido rosso o di malachite verde, pavimenti multicolori e drappeggi dai toni morbidi del verde lo distinguono dalle vetrate rinascimentali del Nord Europa. Un esempio notevole è il “Nudo” nella “Resurrezione di Lazzaro”, così come le nuvole rosa nel “Battesimo di Cristo”.
L’artista eccelle anche nelle opere di dimensioni più ridotte, come la finestra tonda sul lato occidentale della Cattedrale, raffigurante la “Discesa dello Spirito Santo”. Oltre al lavoro con il vetro, Marcillat si cimentò negli affreschi delle volte del Duomo, che lo occuparono fino al giorno della sua morte.
Proseguendo verso la Basilica di San Francesco, troviamo il rosone che raffigura San Francesco e i suoi compagni al cospetto di Onofrio III. Qui, spicca il contrasto tra i vestiti sgargianti del Papa e dei cardinali e la semplice tunica opaca del santo.
Scendendo ancora, nella Chiesa della Santissima Annunziata, sei delle dodici vetrate sono autografate dallo stesso Marcillat. Una delle sue opere migliori è l'”Annunciazione”, originariamente realizzata per il monastero di Sargiano, poi trasferita a Saione e infine custodita al Museo della Verna.