Dalla bottega del calzolaio di suo padre all’ingresso nella famiglia dei Bacci, ricchi e nobili commercianti di tessuti, permane nelle opere di Pietro una spiccata aretinità.
a) Contrapposizione anticonformista al moralismo del suo tempo in vari aspetti della vita del suo secolo.
b) La forma del dialogo e del linguaggio assume con lui un tono ironico e sarcastico, che per molti anni appare osceno.
c) All’amore platonico contrappone una naturale carnalità.
A partire dai “Ragionamenti” (1534) e dal loro “Proseguo”, passando per la “Terza parte” e infine nel 1543 con “Il Dialogo delle Corti Parlanti”, emergono chiaramente questi tre aspetti, che rappresentano un monito per l’epoca e per i “signori”. Nei sei libri delle “Lettere”, si nota il grande valore poetico e la capacità di istigazione e critica al rinnovamento e alle riforme: una voce che si eleva contro le dinamiche del mondo, con prospettive talvolta interessate, talvolta opziose, ma sempre piene di vivacità scintillante e di un’arguzia tipicamente toscana, se non proprio aretina, tanto da essere considerato il “flagello dei principi”.
Negli ultimi anni della sua vita, Pietro fu aspramente criticato e, successivamente, dalla seconda metà del Cinquecento, fu oscurato da una critica di parte per la sua oscenità scandalosa, che in realtà voleva essere solo espressione di un riformismo.
Nel 1763, Mazzucchelli, con la pubblicazione de “La vita di Pietro”, tentò di rivalutare l’opera aretiniana, ma non riuscì a spostare le linee critiche tradizionali. Anche De Sanctis, nell’Ottocento, cercò di evidenziare la vitalità critica di Pietro contro il meccanicismo bigotto e aristocratico del suo secolo.
Solo nel Novecento, vari critici, tra cui B. Croce, hanno evidenziato la poesia di Pietro, in particolare nelle “Lettere”. Negli ultimi e più recenti anni si tende a rivalutare l’opera innovativa dell’Aretino, poeta e Cassandra del Cinquecento, un vero rivoluzionario!