La Grande Piazza di Piazza Grande di Arezzo
Nel 1200, la Piazza Grande di Arezzo non era ancora pavimentata e si estendeva dalla Torre Rossa del Palazzo Comunale in via Pellicceria fino al Borgunto e, a est, al Palazzo del Popolo.
All’epoca, l’area della piazza era il doppio di quella odierna e circondata dalle torri delle antiche nobili famiglie. Tuttavia, l’opera distruttiva di Cosimo de’ Medici, volta a trasformare la città in una fortezza, comportò la demolizione di molti edifici storici, seppellendo persino il vecchio foro romano.
Questo rese necessaria un’opera di riqualificazione, affidata a Giorgio Vasari, per la costruzione delle Logge.Continua a leggere
Nel 1572, Vasari iniziò i lavori, ma morì l’anno successivo.
L’opera fu completata seguendo il progetto originario sotto la supervisione di Alfonso Parigi. Le Logge presentano ornamenti architettonici in pietra arenaria tipica dell’aretino, mentre le basi delle colonne sono in travertino di Rapolano, lo stesso materiale utilizzato per la scalinata del Palazzo della Fraternita.
Il portico è coperto da volte a crociera e le finestre sono sormontate da timpani con cornici di tipo classico.
Particolari sono le spallette delle vetrine delle botteghe sotto la loggia, con un classicismo tipicamente brunelleschiano, riflesso dell’ammirazione del Vasari per Brunelleschi e Michelangelo.
Tra le curiosità, vi è una lapide (copia dell’originale) affissa cento anni dopo la costruzione, che proibiva alla plebe di sostare sotto le logge.
Cambiamenti Climatici? Antichi Rimedi!
“Alea iacta est” (Il dado è tratto).
Cesare, ritornando vittorioso dalla campagna in Gallia, ordinò ai tribuni della plebe di porre il veto al voto del senato, ma, poiché questi furono costretti a lasciare Roma, Cesare decise di varcare il Rubicone il 10 gennaio del 49 a.C., scatenando così la guerra civile contro Pompeo.Continua a leggere
Il Rubicone, considerato il limite politico dell’Italia romana, non poteva essere superato da un esercito armato senza l’autorizzazione del senato, pena la marcia su Roma.
Tuttavia, alcune fonti indicano che il fiume considerato il vero Rubicone fosse l’Esino, il secondo fiume delle Marche per bacino e portata d’acqua, che attraversa Jesi.
Perché allora Cesare si trovava a Rimini?
Gli storici non lo dicono chiaramente, ma potrebbe essere stato per riprendere i soldati feriti e ristabiliti nelle campagne precedenti.
Già nel 62 a.C., e per tre anni consecutivi dal 54 al 51 a.C., si era formata nel mare di Rimini una mucillagine, chiamata “neve bianca”, che in estate curava ferite e malattie infiammatorie tra gli abitanti del posto.
Cesare potrebbe aver lasciato lì alcuni suoi soldati per curarsi e ristabilirsi.
Gli antichi abitanti riminesi usavano anche mandare in mare i loro anziani per curare l’artrosi quando si formava questa mucillagine.
Quindi, non tutto il male viene per nuocere!
La lapide che vieta alla plebe l’accesso alle logge è di grande attualità , infatti le logge sono diventate proprietà privata dei ristoratori, che si sono anche allargati a macchia d’olio sulla piazza con la scusa del COVID.
Ma come diceva quello ” Niente in Italia diventa più definitivo di quel che è provvisorio”.
Come conferma anche l’utilizzo provvisorio del Prato come parcheggio per le auto in occasione dei lavori in Fortezza: la striscia di parco prospiciente la strada è diventato il più clamoroso caso di parcheggio abusivo permanente e impunito della città.
A 100 metri dal Palazzo Comunale. A 150 metri dagli Uffici della Soprintendenza.
La nostra amministrazione non è creativamente vasariana… è distruttivamente cosimiana.
La confamministrazione denota una particolare propensione per la ristorazione soprattutto del confsalotto buono della città.
Ma è una visione piccina piccina che a dispetto delle illusioni del presente, porterà ad un grosso decadimeto dell’immagine di Arezzo e anche della sua economia, che non può reggersi solamente su di un settore così fragile come quello turistico.
[…] lo spirito pubblico in Italia è tale, che […] lascia a ciascuno quasi intera libertà di condursi in tutto il resto come gli aggrada, senza che il pubblico se ne impacci, o impacciandosene sia molto atteso, né se n’impacci mai in modo da dar molta briga e da far molto considerare il suo piacere o dispiacere, approvazione o disapprovazione.
Gli usi e i costumi in Italia si riducono generalmente a questo, che ciascuno segua l’uso e il costume proprio, qual che egli si sia. (Giacomo Leopardi “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani”)