Il veneto dice ” ca non gh’e’ ‘l gato, i sorzi bagola”, Il bergamasco, ” via la gata, i sorech bala”, ancora peggio è il piemontese, “quand’ ii gat ai son nen, il rat a balo”.
I Romani, conquistando i territori italiani dal IV al I secolo a.C., cercarono di rispettare le autonomie dei vari popoli. Tuttavia, le necessità commerciali e la partecipazione politica e amministrativa all’interno del grande impero in formazione resero necessario l’apprendimento del latino. I popoli del Lazio erano più vicini linguisticamente, ma la lingua etrusca era completamente diversa.
Il salto dalla lingua etrusca a quella latina era così ampio che, una volta imparato il latino, nessun etrusco riusciva a trasportare nella nuova lingua i modi e le forme della vecchia, come invece accadeva con i Sabini o gli Irpini. Nel latino dei popoli dell’Italia meridionale entrarono parole greche, mentre altri popoli d’oltralpe avevano cadenze e accenti diversi. Il popolo etrusco, dotato di un elevato grado culturale, imparò il latino in maniera forse più sintatticamente elegante rispetto ad altri.
Ma perché la lingua italiana nasce in Toscana, e più precisamente ad Arezzo, Firenze e Lucca? Nel Medioevo, Arezzo ospitava la seconda università europea (1215). Il Pionta, l’antico Duomo, era già da tempo un centro di ritrovo per teologi, musicisti (come Guido Monaco) e monaci ricercatori.
Lo stesso Visconti, Papa Gregorio X, evitò Firenze e si recò presso Guglielmino degli Ubertini. Tuttavia, in quegli anni la malaria, contratta dal Pontefice all’inizio del 1275 mentre tornava da Lione a Roma dopo il concilio ecumenico, non poteva essere curata. Per ricompensare il Vescovo di Arezzo, suo fedele servitore (ghibellino), lasciò alla sua morte, nel 1276, una ingente somma per iniziare i lavori per il nuovo Duomo all’interno delle mura cittadine, accanto ai ruderi del foro romano. Qui si svolse il primo Conclave, nella chiesa di San Domenico.
In quel periodo, cantastorie e poeti come Dante (e successivamente Petrarca e Boccaccio) iniziarono a scrivere in volgare, il dialetto parlato. L’importanza delle città-stato e i loro commerci, oltre alla loro centralità nella penisola italica, furono il fulcro dello sviluppo della lingua italiana.