Prima di scrivere questo articolo abbiamo soppesato molti fattori, spulciato tante fonti e soprattutto analizzato cose che, a prima vista insignificanti, non lo sono affatto.
Intanto se si guarda il sito ufficiale, più che raccontare e spiegare un festival sembra uno spottone turistico per la città (pagato o spontaneo?), che odora tanto di “amministrativo”. Alla sezione del sito “Chi siamo” cliccando non appare, a oggi, alcuna descrizione della mission del festival, di chi lo organizza, che scopi e che mezzi ha, se si avvale di sponsor o se è un’impresa a rischio degli imprenditori che lo organizzano.
Quindi se non viene detto nulla, sorge una domanda: perché?
Un po’ di trasparenza non guasterebbe, soprattutto quando a sostenerlo sono sponsor privati e l’Amministrazione cittadina.
Un festival che, a quanto si evince dal sito, si muove tutto sulle suggestioni social, con grandi foto e un’impronta “ggiooofane”, visto che, a grandi spanne, il target di pubblico a cui si rivolge sembra stare tra i 18 e i 35 anni.
Qualche nome nazionale di rilievo medio, molti sconosciuti e soprattutto l’assenza di big internazionali e una certa “settorialità di genere”, che si focalizza su indie pop, e dintorni.
Troppo poco e troppo ristretta come proposta: che fine ha fatto la musica rock, new wave, alternative, cantautoriale italiana, metal, hard rock, pop e progressive ad Arezzo?
Perchè in città deve solo esserci solo indie?
Avevamo Arezzo Wave che ha portato qui da noi il meglio della musica mondiale, gente che in America, Inghilterra, Germania, in ogni parte del mondo riempiva gli stadi, artisti da milioni di dischi venduti.
Tanto per fare qualche nome: Jovanotti, Moby, Sinead O’Connor, Nick Cave, Skunk Anansie, Ben Harper, Manu Chao, Elio e le Storie Tese e altri.
E poi?
Cosa è successo?
Persino il Play Art, ultima grande occasione aretina in musica, aveva messo sul palco Deep Purple e Litfiba.
Oggi?
Con tutto il rispetto Dargen D’Amico e Rose Villaine.
Arezzo Wave era la squadra da Champions league, mentre il Mengo sembra più la serie C girone B con poche speranze di salire almeno in B.
Ovviamente per non disturbare i palazzi del potere locale, gli altri media glorificano il Mengo come la nuova Woodstock, quando, con tutto il rispetto, ad Arezzo Wave non arriva a passargli la borraccia.
Perché Ghinelli & co hanno deciso di chiudere le porte in faccia a Valenti?
Perché non sfruttare per Arezzo come vetrina sul mondo un festival conosciuto a livello internazionale che chiunque identifica con la nostra città?
La risposta ce l’ha solo il sindaco crediamo.
A molte persone non piace la proposta del Mengo, e sono gusti personali, ma il punto focale è che non è il format giusto per valorizzare la musica quella grande, quella trasversale alle varie età, quella importante, ma è un buon festival di portata locale e poco più.
Se poi vogliamo mettere le pulci nell’orecchio a qualcuno su certi pesi e misure, quando Arezzo Wave veniva fatta al Prato, ci fu una sollevazione della Soprintendenza circa le vibrazioni che potevano danneggiare le vetrate del Marcillat al Duomo.
Ci fu una discussione e studi specifici, per impedire di usufruire di tale location.
Oggi, con l’aggravante dei dj set del Mengo, che con le frequenze basse dei subwoofer erogano una vibrazione molto forte e pericolosa per le stesse vetrate di cui sopra, magicamente tutto viene concesso senza problemi.
Quindi a molti viene il sospetto che ci sia qualcosa che non torna.
Noi abbiamo raccolto il dissenso, i dubbi e le lamentele di molte persone, e abbiamo deciso di codificarle in uno scritto.
Il Mengo ha diritto di esistere?
Si.
Ma molti credono NON con questo effluvio di risorse finanziarie che poi portano risultati discutibili.
Come si dice, quando la montagna partorì il topolino.
La musica va sempre bene tutta, il problema è il posto e dove va a finire Arezzo in generale non solo la musica.
Se un parco come il Prato viene continuamente massacrato non si fa un bel servizio alla città sempre più sfruttata e sempre meno abitata.
Il fascino del borgo toscano tranquillo e ricco di storia dove va a finire se fai baraonda senza controllo e se la storia la copri con i palchi o le baite e se insegui un turismo di massa contro il quale dappertutto, ma troppo tardi, si sta correndo ai ripari.
I concerti si possono fare in aree più idonee con maggiore capienza e magari con un biglietto d’ingresso economico ma suffciente a far risparmiare i soldi dei contribuenti e ad attirare qualche nome importante.
Se poi si vuole ragionare solo in termini economici fate bene i conti perchè una economia prettamente turistica è una economia debole, rischiosa e a lungo termine non pagante.
Tornando alla musica e ripensando a quello che abbiamo vissuto con Arezzo Wave che tristezza sprecare soldi per qualcosa che somiglia al solito evento in stile sagra paesana o luna park aretino degli ultimi tempi.