Aver provato, anzi incosapevolmente costretto, ad esser cavia di eperimenti e prove, lo sono stato e quindi sono un coraggioso.
Due futuri ingegneri, uno in elettronica, mio fratello maggiore,Pietro, l’altro civile, il suo compagno delle elementari, Giulio, mi presero, come si prende un gatto non tuo, mi misero due cinture, a mo di tubulari di scorta da corse di biciclette anni 30, e mi aggiustarono tre ombrelli aperti fissati ai “tubolari cinturati” non pirelli e mi gettarono giù dalla terrazza, praticamente 5/ 6 metri.
I paracaduti erano aperti, io pesavo pochissimo, ero gracile e andavo ancora all’asilo, e l’orto sotto era vangato di fresco.
Nella stessa casa dove ero nato non certo, per il calcolo delle probabilità, potevo morire, e così fu.
La prova del fuoco o della scossa, un anno dopo fu superata, ma la lampadina non si accese, forse la tenevo male o la tensione, allora era 125, non era sufficente, tenevo in una mano la lampadina e nella altra un filo scoperto inserito in un bicchiere di acqua con il sale grosso da cui partivano altri due fili con una spina inserita nella presa, saltò tutto anche il coperchio di porcellana bianca della valvola.
Entrato alle elementari, fu un continuo esercizio di contorsione, la nostra camera era una ragnatela di fil di rame ad uso antenna della galena, l’ingegnere aveva 9 anni, ma con i primi transistor e due pile “superpila ” su una struttura di un pezzo di legno, mi fece ascoltare la radio.
Non c’era da preoccuparsi a due anni io già uscivo di casa giravo da via Crispi in via Guadagnoli attraversando due cunette tra erba e terra, per giungere e salire in una casa in costruzione fino alle soffitte, dove i più grandi facevano le dissezioni alle lucertole.
Nel 1969, il 21 luglio, per me fu una giornata tranquilla, io c’ero già stato ed ero certo che sarebbero tornati giù o… su’, questo a secondo i punti di vista.
Gli anni 50 erano stupendi, nevicava pure ad Arezzo, facevamo gare di sci fino alla Pieve o giù dalla Piaggia del Murello, il Cangeloni, guardia municipale, sequestrava di continuo i palloni, il Castro scoperto in via Pietro Aretino era linea di confine e di battaglie, e i bullini di vetro eramo le noste lune, io, che ci chiappavo, ne avenvo una scatola piena.
No i nostri genitori non erano incoscienti, a lasciarci soli, uno tornava solo il venerdì sera , in giro per tutti i mercati d’Italia, l’altra insegnava fuori Arezzo , e noi ci approfittavamo della nonna o della donna che ci preparava il pranzo, spesso eravamo soli in casa, loro ricostruivano l’Italia per noi, inoltre io ben presto imparai a fare le forcelle di fionde, lo scoppietto, (nella foto) a punturare i maiali e fui menzionato nel giornale, per aver ritrovato 6 bombe di mortaio.
Era il tempo del fare dei bollini e delle nostre mille lune in una scatola da scarpe.