LE DUE SULPICIA E LE STORIE DI UN AREZZO ANTICA E I PRIMI ZATTERONI
Su Sulpicia, prima credevano che Tibullo fosse bisessuale, poi altri pensarono che esistesse solo la poetessa omonima dell’epoca di Diocleziano, infine solo a metà del 1700 nelle elegie si scoprì una personalità strettamente femminile ed il mondo culturale si aprì all’esistenza di una poetessa, come scrittrice delle elegie del IV libro di Tibulo, e la consacrazione fu nel 1991 con la pubblicazione dell’articolo di Carol Merriam.Continua a leggere
Ma non tutti sanno, che lei passasse molte ferie ed estati in quel di Arezzo Agustea, infatti lo zio Messala Corvino possedeva al di qua dell’Arno, in località Venere, una fattoria, e lei spesso si recava ad Arezzo per la vecchia Cassia a trovare amiche e fare shopping.
Con una biga carrata( a due assali 4 ruote), sedeva al riparo dal sole in seconda fila accompagnata da una schiava e da guardia del corpo.
Certo di guardie del corpo non ce ne era bisogno ad Arezzo, ma questa veniva usata sia per portare mercanzie acquistate, più che per difesa personale ( facchino).
Arrivati alla porta dl Giglio-Moscio, venivano controllati i pass degli entranti, le mura erano imponenti e ancora avevano il suo fascino, oltre per l’altezza, ma in quanto appartavano al di dentro un outlet gigantesco, come quello di Aria Aria di Aba in Nigeria.
Entrata ad Arezzo spesso si fermava nei negozi di vasellame, e ammirava lungo la salita dell’attuale piaggia del Murello le opere uscite dagli opifici sottostanti, che si potraevano anche al di fuori delle mura.
Giungeva poi per via Cavour in quel rinomato ristoro e vineria del Mensmorium famosa a quel tempo oer le ubriacature e perdita di intelletto, infine arrivava da Palmirius, ottima boutique dell’epoca, che per le ricche donne aveva utilizzato tuniche uniche fino ai piedi, ma a gambale appuntato ciascuno alla caviglia da un nastro rosso con filamenti di color oro, tanto da sembrare i nostri pantaloni, ma alll’interno dal cavallo in giù aperti.
Proseguendo verso lo shop del Semencius, le nuove “perones” , una tripla o quadrupla suola che rendeva la statura leggermente più alta per chi le portasse(gli zatteroni).
Sulpicia inoltre agli acquisti, al suo ritorno a Roma con particolari acconciature abbellite da nastri e oltri ornamenti particolari, portava alle donne romane la novità della moda, e la sua bellezza e la sua influenza non dovevano essere offuscate dal suo amore per “Cerinto”, uomo sposato, in quanto sarebbe stata mal vista da altre donne maritate, e quindi dovette scrivere sotto paravento.
LA VERA STORIA SU SULPICIA E LE SUE ELEGIE, E IL SUO ESILIO ARETINO
Non è un marchio di un profumo né un poeta di cui si può aver dubbi sulla sua sessualità, ma una donna come tutte le altre, presa da una passione carnale e sessuale d’amore.
“Cerinto”, il nome fasullo, usato anche in Grecia, per chiamare il proprio amore con un nome, era certamente un uomo sposato che gli piaceva andare con più donne oltre che con lei e o con la propria moglie. Continua a leggere
La giovane frequetava la casa dello zio Marco Valerio Messala Corvino, che aveva istituito un circolo frequentato da poeti scrittori e altri intellettuali dell’epoca.
Il primo che dubito’ dell’esistenza di Sulpicia, fu nel 1475 Bernardino Cilleno che pensava a un Tibullo omosessuale.
Nel 1541 in edizione ” Corpus Tibellanum, si dice che Sulpicia fosse una donna che amava Messala.
Nel 1755 tramite il filologo Heye, che ne esalta la raffinatezza e la bellezza strettamente femminile delle sue elegie, si ha una apertura alla sua esistenza effettiva e solo nel 1991 l’articolo dello studioso Carol Merrian si ha la proclamazione della opera nel IV Libro di Tibullo in cui si nascondeva le elegie dell’amore della donna sotto la copertura del poeta.
Nelle elegie si passa dall’esaltazione dalla bellezza di Cerinto fino anche a raccomandarsi al dio della medicina, Febo, per guarirla dalla passione dell’ amore, lui la tradiva anche con altre e con prostitute, però lei ne era invaghita e non in maniera platonica.
Si raccomanda a Giunone per dargli un vincolo stretto, una catena che lo attragga a lei al suo corpo al suo cuore, e pure a Venere per renderla bella e affascinante agli occhi dell’ amato.
In altre si lamenta delle minacce dello zio di mandarla ad Arezzo per il suo compleanno, di passare lontana e triste quel giorno, poi la contentezza della mancata realizzazione delle minacce.
Un nostro studioso aretino Fatucchi dice che le ferie di Sulpicia, le passasse spesso ad Arezzo in quel di Venere, vicino all’Arno, dove Messala possedeva una fattoria.
Certamente, nelle sue frequentazioni e periodi passati in quel d’Arezzo, frequentando una città di 100 mila abitanti, rinomata per gioielli, abiti, e pettinature etrusche, oltre per gli opifici artigianali, in tutto il mondo allora conosciuto, dove i diritti delle donne erano avanti di decine di centinaia di anni, lei fu la nostra ambasciatrice per Roma di usanze e moda, tra le quali bere il vino!!, cosa che per tutta l’epoca repubblicana era proibita.
IL CALCIO DAL MEDIOEVO ALLA SCOPERTA DELL’AMERICA
Parlassimo del libro ritrovato in quel anfratto sotto ai ruderi del Castello di Pietramala…, ma pochi sanno undo’ sta’ ‘sto Castello, ‘ndove stava!.
Partiamo dal posteggio sotto le mura di quel Cosimo edificate, che ci ha preso la Chimera e andiamo verso Tregozzano, superata la piscina Florida, giriamo a destra in località la Cella, e prendendo la strada in itinere verso la Pieve di San Polo ( IX secolo a. C.), non giriamo verso la Chiesa della Madonna del Giuncheto, ma bisogna a ‘ire a ‘ire per all’insu’ verso Poti. Continua a leggere
Dopo la villa del Maggi e una percorrenza in costa giriamo a manca eppu’ prima di argirare a destra, tra buche, rovi t’artrovi una carraia da tregge, doppo se vae all’ingiuee, e dopo che se ito giù e s’apre la valle dinanzi a te, s’è arivato quasi, vae un po’ piu giue e c’ hai i piedi sopra, tanto la terra e la vegetazione l’ha ricoperto.
Era una costruzione imponente, quando ci andai l’ultima volta, una stanza, da sopra un terrapieno, si poteva vedere, ma era pericolosa per cedimenti del terreno.
Dominava il tracciato che dalla valle del Cerfone va alla zona dove scorre la Chiassaccia, il fiume che scorre in basso ad un centinaio di metri, ha ancora gli argini, in ancuni metri, con i cordoli in pietra lavorata, un paradiso di natura e di quieta, salvo il frustone impaurito che che quasi ci fece incespicare.
Aldi là del fiume il vecchio Molin del Falchi, che fu rimesso a posto da Moreno Raspanti, esperto in fossili prestorici africani e pure musico, come il padre.
Ai tempi medioevali, il Castello era abitato dai discendenti del Vescovo d’Arezzo Guido Tarlati, che forse, come il fratello Pietro ( Pier Saccone), andava a donne o novizie, e vi abitava ancora, Marco dei Tarlati, che sapeva tirar di piede molto bene con la palla di pelle budellata.
Dicesi, che in un derby contro i gigliati, di calcio primordiale, gentile e senza lotta, segnasse una” tana” gol di semirivesciata in capriola sospesa, che rimase per anni negli annali.
Come al solito gli Ultras della Florentae società, molto incazzati, distrussero e poi si propagarono fino a Castiglion d’Arezzo.
Era il 1385, fortunatamente una citta ( ragazza tifosa del’ Arezzo) nascose questo libro in un anfratto, successivamente un pellegrino che si recava ad Assisi per quelle zone percorrendo il 102, mentre si stringeva i lacci di un gambaletto, lo vide nascosto in quel piccolo anfratto.
Il pellegrino era un noto personaggio della famiglia dei Piccioni della Liguria, che lo regalò ad un suo parente, quando questi passò a Comunione, affinché lo leggesse, qualora avesse avuto il tempo, e costui era il nipote, Cristoforo dei Colombi.
Tutti potrebbero pensare che i Piccioni fossero viaggiatori e i Colombi stanziali, ma in quel periodo era viceversa, poi, quando il mais venne portato in Europa, i Colombi rimasero a casa a rovinare i germogli del granturco.
In quel mitico primo viaggio C. Colombo dei Colombi, porto’ il libro di un aretino di quel Pietro figlio di Margherita e di Luca, che Uguolino Bacci…….., tal testo fu infatti sequestrato per censura dagli stessi indigeni,, tanto anche era scritto volgarmente, nel secondo viaggio portò seco( con se) quel libro ricevuto dallo zio, pieno di racconti di storia aretina e di gesta e di aneddoti, che chi ama Arezzo sente nella su’ testa come reali.
In mare, con poca acqua potabile, a Cristoforo gli prese la dissenteria, e allore ne fece uso igienico, per ripulir le sua posteriora.., il libro andò perduto in atlantiche maree insieme agli stronzi di quel genovese!!