DIGA DI MONTEDOGLIO: chiuse le indagini, avviso per quattro società per reati che vanno dalla gestione illecita di rifiuti speciali al falso ideologico commesso dal privato in certificazioni.
Il 29.12.2010 una porzione dell’invaso di Montedoglio collassava determinando l’improvvisa fuoriuscita di milioni di metri cubi di acqua che si riversavano su una vasta area della Valle del Tevere con ingenti danni al patrimonio edilizio, a beni mobili e al paesaggio.
A distanza di 10 anni da quell’evento catastrofico e dopo un lungo iter amministrativo, nel gennaio 2020 l’Ente Acque Umbre Toscane consegnava i lavori di rifacimento della porzione crollata dell’invaso alla Società vincitrice dell’appalto la quale, a sua volta, chiedeva ed otteneva l’autorizzazione ad avvalersi di altre Ditte subappaltatrici per il ripristino delle strutture cementizie della Diga e tra queste una Società di Rieti che nel febbraio 2020 incappava nei controlli dei Carabinieri Forestali.
In particolare in quel periodo e segnatamente dal 20 al 26 febbraio 2020, la ditta in questione, trasferendo giornalmente centinaia di metri cubi di terre e rocce dall’area di cantiere dell’invaso verso due noti impianti della Valtiberina, attirava l’attenzione della locale Stazione Carabinieri Forestale di Sansepolcro la quale, proprio in ragione della mole delle terre movimentate, indirizzava il controllo, insieme al Gruppo ambiente della Procura di Arezzo, in corrispondenza del cantiere della Diga il quale, già nell’immediatezza, veniva sottoposto a sequestro per reati ambientali.
Al passaggio delle indagini sotto la direzione del Pubblico Ministero dr.ssa Angela Masiello, gli accertamenti proseguivano presso la Stazione appaltante, dove veniva acquisita tutta la documentazione che aveva portato la medesima ad affidare i lavori alla società subappaltatrice.
Proprio dall’esame degli atti acquisiti e dalle ulteriori indagini svolte dalla Procura di Arezzo emergevano elementi che portavano gli inquirenti a ritenere che la società appaltatrice, in qualità di produttore giuridico del rifiuto, e la società subappaltatrice, in qualità di produttore materiale del rifiuto, avessero gestito illecitamente ben 7.185,2 tonnellate di rifiuti costituiti da terre e rocce da scavo, poiché li producevano, raccoglievano e trasportavano al di fuori della prescritta tracciabilità documentale, e poi li smaltivano mediante conferimento a due impianti della Valtiberina, uno dei quali del tutto sprovvisto di autorizzazione ed un altro in violazione dell’autorizzazione posseduta.
Le indagini espletate portavano, altresì, gli inquirenti a ritenere, a carico della società subappaltatrice, anche una ipotesi di reato di falso, per aver attribuito, in autocertificazioni dirette al Comune di Anghiari, ai rifiuti in questione la falsa qualifica di sottoprodotti, al fine di ottenere l’ammissione degli stessi ad un regime di favore.