Vi ricordate cosa accadde dopo le Olimpiadi di Atene? La Grecia, che per un attimo si era illusa di essere al centro del mondo, cadde rapidamente in una crisi economica e finanziaria devastante. Corruzione diffusa, clientelismo e spese pubbliche fuori controllo: un esempio su tutti, una mia esperienza personale a Samos, dove anni prima avevo incontrato cinque dipendenti del Ministero dei Beni Culturali in villeggiatura in una villa a picco sul mare. Turni mensili, viaggi in aereo pagati, stipendi garantiti – tutto a carico dello Stato. E pensare che simili “vacanze istituzionali” si ripetevano in numerose isole greche: migliaia di funzionari mantenuti grazie a prestiti concessi da banche – soprattutto tedesche, inglesi, francesi, e in parte anche italiane.
Poi arrivò la tempesta. La crisi colpì duramente il popolo greco: bancomat bloccati, contanti razionati, ospedali senza medicine, persone ridotte alla fame. Eppure, l’Unione Europea – con in prima fila Christine Lagarde – intervenne… per salvare chi? Non certo i cittadini. I 250 miliardi di euro non andarono alla Grecia, ma alle banche estere esposte verso il debito greco. Una salvezza per il sistema, non per la gente.
Oggi, assistiamo a una nuova versione dello stesso copione: si cerca di “salvare” la locomotiva tedesca, indebolita da scelte europee sbilanciate, sogni green poco concreti e i dazi in stile Trump. E intanto si mantengono a galla equilibri geopolitici fragili, perfino giustificando il clima di tensione bellica che tiene in piedi governi come quello di Netanyahu in Israele.
La soluzione? Stampare moneta. Rialzare stipendi e pensioni, partendo dal basso, per rilanciare i consumi quotidiani e sostenere l’economia reale. Il lusso continueranno a comprarselo americani, cinesi e arabi. E l’inflazione? Se gestita da persone competenti, può diventare uno strumento di competitività, non un nemico. Ma forse è proprio questo che certi poteri – in Europa e altrove – non vogliono vedere.