Venivamo da esperienze calcistiche più o meno improvvisate, dilettanti in ogni senso del termine, ma pieni di entusiasmo. C’erano Menchino l’orologiaio, Alvaro l’orafo, Cannellone che allora faceva l’argentiere, e poi il Foffo, il Rubio, il Ronco, il Paollini, il Dragoni, il parrucchiere Claudio, il futuro dottore Baby, il piccolo Cosulich, il Leti, il Berganaschi, e persino un ex centravanti passato per Juve, Savona e Arezzo: Gabriele.
Fu proprio Gabriele a portarci in vantaggio in un’amichevole memorabile contro la primavera di Ballacci, quella dei Graziani, dei Neri, dei Baldi. Finì in parità, dopo un rigore quanto meno dubbio, ma che emozione.
Poi arrivò il torneo dei “tetti rossi” – il Manicomio – guidati dal Cata, uno che parlava già un’altra lingua, un altro calcio. Lo vincemmo a suon di goleade, con Dragoni che infilò 28 reti in tre partite contro Comune, Ospedale, Ferrovieri. Si rideva, si scherzava, si giocava anche con le docce fredde o riscaldate a legna. Amichevoli ad Ambra, Badia Agnano, ovunque ci chiamassero.
Fu allora che decidemmo: era tempo di fare sul serio. Nacque l’idea di fondare una società e iscriversi alla Terza Categoria. L’occasione la offrì Moreno, che pescò una regina di tredici chili: una cena al Roma, in piazzetta sopra i ponti, e tra un bicchiere e una risata, passammo il cappello. Cinquantamila lire a testa, qualche contributo di amici e l’obolo generoso di Gigi Montaini, presidente dell’Arezzo.
Con l’aiuto degli Zampolin, padre e figlio, ci iscrivemmo alla Terza. Il nostro primo campo? Cadicio. Terra dura, sogni forti.
Molti di quei volti non ci sono più. Ma la canaglia, quella sì, resta. In un gol ricordato, in una doccia improvvisata, in una partita mai finita davvero.
Nella foto la mitica squadra del tornei del manicomio
La gioventù è un attimo la Canaglia è eterna!!
Mitici !