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venerdì, Marzo 29, 2024
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Operai e impiegati rassegnati. C’è bisogno di reazione

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Mentre i contratti di lavoro un passo alla volta sono tornati a livello degli anni sessanta e le garanzie per i dipendenti sono andate scemando, le morti sul lavoro crescono annualmente (siamo a circa 700) e i contratti precari, spesso precarissimi, non vengono rinnovati.

Stiamo toccando il fondo dell’incertezza assoluta.
Chi è giovane non riesce a immaginare un futuro e chi a una certa età perde l’impiego non sa dove sbattere la testa.

Eppure i lavoratori non stanno reagendo.
Sono rassegnati e timorosi.

Quando potevo considerarmi giovane gli operai e gli impiegati reagivano alle ingiustizie, allo sfruttamento.
Avevano dei sindacati combattivi dai quali si sentivano rappresentati.

Ormai la classe politica e quella sindacale sembrano avere abdicato in favore delle imprese.
I dipendenti sono in balìa di chi li assume e non si riconoscono più in sindacati depotenziati, soprattutto dai numeri (iscritti) in forte calo.

Eppure c’è anche chi sta peggio dei lavoratori dipendenti, e sono coloro che un lavoro non ce l’hanno pur avendo oltre cinquant’anni.
Gente che deve pagare mutui o affitti, scuola e università dei figli; bollette e spesa quotidiana, quando va bene con un solo stipendio.

Stiamo toccando il fondo e se la ripresa di un pugno di aziende si basa sulla pelle di milioni di precari e disoccupati, sulla cinesizzazione delle condizioni di lavoro, qualcuno deve reagire.

Non c’è modo di farlo senza associarsi, cominciando di nuovo ad avere un peso dal punto di vista contrattuale.
Si associno i precari e i disoccupati, e insieme trasformino i sindacati sulla base delle esigenze attuali, del mondo del lavoro in questi tempi così all’americana, ma in una fetta del mondo dalla storia diversa…

NB: stavolta ho scritto un articolo serio, perché ho intorno persone sull’orlo della disperazione e mi andava di dar loro spazio.
Comunque punge, se non altro gli stessi dipendenti.

2 Commenti

  1. «Bisogna restaurare l’odio di classe. Perché loro ci odiano, dobbiamo ricambiare. Loro sono i capitalisti, noi siamo i proletari del mondo d’oggi: non più gli operai di Marx o i contadini di Mao, ma “tutti coloro che lavorano per un capitalista, chi in qualche modo sta dove c’è un capitalista che sfrutta il suo lavoro”. A me sta a cuore un punto. Vedo che oggi si rinuncia a parlare di proletariato. Credo invece che non c’è nulla da vergognarsi a riproporre la questione. È il segreto di pulcinella: il proletariato esiste. È un male che la coscienza di classe sia lasciata alla destra mentre la sinistra via via si sproletarizza. Bisogna invece restaurare l’odio di classe, perché loro ci odiano e noi dobbiamo ricambiare. Loro fanno la lotta di classe, perché chi lavora non deve farla proprio in una fase in cui la merce dell’uomo è la più deprezzata e svenduta in assoluto? Recuperare la coscienza di una classe del proletariato di oggi, è essenziale. È importante riaffermare l’esistenza del proletariato. Oggi i proletari sono pure gli ingegneri, i laureati, i lavoratori precari, i pensionati. Poi c’è il sottoproletariato, che ha problemi di sopravvivenza e al quale la destra propone con successo un libro dei sogni» (Edoardo Sanguineti).

  2. C’è qualcosa di vero nelle parole di Sanguineti, anche se il termine odio non mi piace a presindere. E’ certamente vero che certi equilibri si ottengono contrapponendosi e misurando le forze reciproche… In questa fase soffriamo molto di uno sbilanciamento sempre più forte.

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Pietro Aretino
Pietro Aretino
« Qui giace l'Aretin, poeta Tosco, che d'ognun disse mal, fuorché di Cristo, scusandosi col dir: "Non lo conosco"! » (Ironica epigrafe indirizzata all'Aretino da Paolo Giovio[1]) È conosciuto principalmente per alcuni suoi scritti dal contenuto considerato quanto mai licenzioso (almeno per l'epoca), fra cui i conosciutissimi Sonetti lussuriosi. Scrisse anche i Dubbi amorosi e opere di contenuto religioso, tese a farlo apprezzare nell'ambiente cardinalizio che a lungo frequentò.

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