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lunedì, Aprile 1, 2024
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Hare Krisna fanno casa micciola al pronto soccorso di Arezzo

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Calma e sangue freddo. Non è malasanità. Semmai è malaidentità. La Asl d’area vasta non c’entra niente. Questo sarebbe un discorso serio. Semmai c’entra un tipo diciamo inconsueto di paziente. O meglio, due paia di accompagnatori. E qui il discorso diventa divertente. E’ una storia autentica. Chi ce l’ha raccontata è ancora piegato in due dal ridere. Giacché l’ha vissuta la scena di quella notte in ospedale dove, per l’appunto, si trovava (per fortuna sua e dei suoi cari) non per problemi di salute. Quella notte, quando? Non importa, una notte di queste, come altre al Pronto Soccorso dell’ospedale  . Ne capitano tante. E’ capitata anche questa.

Hare Krisna, una piccola comitiva di quattro italiani devoti alla fede indù, hanno fatto casa micciola, giunti che furono dinanzi alla postazione in cui sta il personale addetto al triage anche di notte.

Acconciati alla indù in sari arancione e colori pastello, uno piuttosto attempato, gli altri molto più giovani,  immediatamente chiedevano all’infermiere dell’arrivo in ambulanza della congiunta del più anziano.

Come si chiama, domandava a sua volta l’addetto all’accettazione. Si tratta di mia mamma, rispondeva l’hare krisna più maturo, indugiando a spiegare di come poco prima lui avesse richiesto l’intervento di un’ambulanza e il trasporto della madre in ospedale. D’accordo, ma il nome e cognome, qual è?, insisteva l’infermiere che per tutta risposta ottiene un…incomprensibile nome indiano.

Scoppia così il piccolo caos tra i quattro fedeli alla religione di Krisna e l’addetto all’accettazione, tenuto a conoscere il nome per dare informazioni sulla paziente. Ma per quanto il rappresentante della Asl si armasse di pazienza e in tono gentile chiedesse fermamente quelle benedette generalità, riotteneva un incomprensibile nome indiano.

Ma siete italiani, sì? La signora è italiana?, prova a dire, per vedere di trovare una via d’uscita da quell’impasse. Ma quelli, a loro volta, pur confermando di essere connazionali, aggiungono il perché di tanta caparbietà:

la fede in cui credono, vieta loro di usare il nome di battesimo, dopo aver abbracciato la religione indù.

Un bel problema, che l’infermiere tenta di risolvere accertando diversamente le generalità della paziente. Pertanto, va di persona nell’ala del Pronto Soccorso in cui, effettivamente, si trova l’anziana giunta in ambulanza, affiliata anche lei agli Hare Krisna. Poco dopo ritorna dai quattro, accompagnata dal dottore e, anche, dal personale dell’ambulanza.

Fino a quel momento il nome italiano della paziente non era stato comunicato, neanche al 118, fatto intervenire presso un’abitazione di Arezzo, per il malore incorso ad un’ospite milanese della famiglia presso la quale la comitiva indù soggiornava. Si spiega perciò il perché le generalità non fossero in possesso neanche del personale dell’ambulanza.

In ospedale, si sono dovuti mettere in équipe a tentare di convincere gli Hare Krisna di fornire il nome della donna, madre dell’arancione più avanti negli anni e nonna di un altro del gruppo che, ancora per un po’, rimaneva incrollabile e unanimemente ribadiva l’inviolabilità della nuova identità imposta da Krisna. Poi, dopo aver confabulato fittamente fra di loro, infine si decidevano a infrangere il dogma.

C’è voluto, però, un bel po’ di parlamento prima che dessero le generalità e anche la tessera sanitaria.

Non senza qualche ultima riluttanza e un po’ di senso di colpa. Quest’ultimo espiato con i mantra, che la comitiva di arancioni sono andati a recitare nella sala d’aspetto. Mentre la loro correligionaria veniva visitata e poi sottoposta alle cure del caso. E gli accompagnatori degli altri pazienti si allontanavano dal tormento di quelle nenie indù.

Se fossero tutti come questo i problemi al Pronto Soccorso e nella Sanità…ci sarebbe da metterci la firma.

2 Commenti

  1. Giovannino, stai bonino, non ti sta bene nè se scrivo del rugby che gioca in politica, né se scrivo che Wikipedia sbaglia collocando il sindaco di Arezzo in Forza Italia, né se racconto un fatterello come questo che non è un’analisi e io non sono un diagnosta. Giovannino, dai, non fare abuso di droghe. Ti spiego: la paziente in questione fu sottoposta in astanteria alle analisi prescritte dal medico del Pronto Soccorso Ti confesso, sono di persona contento che ti dai ad un minimo di lettura che ti solleva dalla pena di sopportare te stesso…però non soffrire più del necessario immaginandoti che io sia obbligato a scrivere (ti rassicuro, mi hanno fatto desistere, lascio ad altri il compito di urticare) o sforzandoti di immaginare che io stesso sia l’Ortica mentre tu mi vedi meglio come cipolla (certo che a te la droga fa proprio male) e, soprattutto, non ti preoccupare del mio personale amor proprio, preoccupati del tuo, visto che passi il tempo a insultarmi (se non sbaglio sei lo stesso che da qualche giorno si è incaponito di insultarmi anche per email, non dico che sei tu, ma gli argomenti sono gli stessi…dai, su, diciamo che tu e quello postale siete la stessa persona, diciamocelo fra di noi, non lo sapranno altri…ma perlomeno che tu abbia l’accortezza di sfalsare la tempistica in cui scrivi qui e ti fai vivo per email al mio indirizzo…benedetto ragazzetto o omuncolo benedetto) costringendoti a documentarti su ciò che io scrivo. Ad esempio potresti impiegare meglio il tuo tempo sperimentando altre droghe. Ecco, cambia spacciatore. Ciao Giovannino, drogati in pace.

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Felice Cini
Felice Cini
Mi piacerebbe essere Tristano ma sono Felicino, vorrei essere qualcuno ma sono nessuno. Mi piacerebbe raccontare qualcosa di buono ma non ho argomenti. Vorrei un argomento positivo sul mondo che ci circonda ma non mi piace granché ciò che ci circonda. Scrivo su l'Ortica per la mia passione per ciò che non va bene. Mi assomiglia.

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