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venerdì, Marzo 29, 2024
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Nostalgia del balcone

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E pensare che ancora non ce l’ha neanche Renzi: ma appena saprà che un balcone in piazza ce l’ha anche il sindaco di Arezzo, Alessandro Ghinelli, non avrà che da scegliere la piazza: quello di Piazza Venezia è stato un po’ troppo usato nel passato, difficile che ci si affacci, anche se la voglia di dichiarare guerra alla perfida Albione, dopo la Brexit, sarebbe tanta.

Più facile quello di Palazzo Vecchio. Dove, almeno una volta, era di casa.
Ghinelli la piazza ce l’ha, Piazza Grande non ha niente da invidiare a Piazza della Signoria: e poi lui ha scelto il balcone più bello, quello di Palazzo Lappoli. Da lì, per ora solo tre volte all’anno, si affaccia con tanto di mantello da cerimonia, per consegnare la lancia d’oro al rettore del quartiere che ha vinto: nessuno può tirarlo per il mantello come facevano i vincitori tirando la giacca al sindaco che aveva solo la tribuna per affacciarsi.
Guarda dall’alto i quartieristi, manca solo che li arringhi come si usa fare in Italia da ogni balcone che si rispetti.

Ma tutto si può sempre migliorare. Per esempio spostare all’interno della ringhiera del terrazzo trecentesco il manto amaranto che la nasconde.
E affiggere più in alto lo stemma di Palazzo Cavallo che nasconde quello dei Lappoli: tre stelle intorno a un monte e sotto una rondine.
I Lappoli costruirono o acquistarono il Palazzo sette secoli fa quando arrivarono in città da Monte Sopra Rondine.

A sentir Dante anche allora gli aretini correvano giostra: lui vide “gir gualdane e fedir torneamenti” e sentì “trombe e tamburi”.
Chissà se anche allora al vincitore dei “torneamenti” veniva consegnata una lancia d’oro.
Il balcone di Palazzo Lappoli c’era già. E c’erano pure i Musici, con trombe e tamburi.

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Campano a martello
Campano a martello
Niente paura: il campano di Palazzo Cavallo ha suonato a martello una volta sola, e per sbaglio. Successe il 16 luglio 1944 quando per festeggiare la liberazione di Arezzo, chi salì sulla torre, era troppo felice per pensare ai significati dei rintocchi. Bastava che il campano tornasse a suonare. Anche ora il campano vuol suonare come quel giorno di festa: agli aretini di allora bastò che suonasse, non importa se a martello, per sentirsi finalmente liberi. Perché non dovrebbe bastare anche agli aretini di oggi che suoni a martello anche per sbaglio, purchè risvegli la città dal sonno e festeggi una nuova conquista di libertà?

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